Mentre il premier Enrico Letta dichiara che “non possiamo conformarci all’europeizzazione dell’indifferenza”, il vicepremier Angelino Alfano specifica che “prima di pensare al futuro di chi arriva in Italia dobbiamo pensare al futuro degli italiani”.
Non potrebbe avere premesse più contraddittorie il Consiglio Ue previsto per il 24 e 25 ottobre prossimi.
Proprio in vista dell’appuntamento europeo, nel suo discorso di oggi a Montecitorio Letta ha puntato il dito contro l’Europa, “che ha scritto la parola solidarietà nei trattati ma poi non riesce a esercitarla”. Il prossimo Consiglio Ue sarà, secondo Letta, l’occasione “per cominciare a pensare a un’Europa diversa”, e il primo passo per farlo è porre in cima all’agenda della due giorni la questione dell’immigrazione, una richiesta italiana accettata dal presidente del Consiglio europeo Harman Von Rompuy.
“Per la prima volta al Consiglio europeo entreranno il dolore e la morte, la frustrazione che la tragedia di Lampedusa ha portato”, ha affermato Letta, specificando che l’Europa, “per la sua stessa storia e per le sue più profonde e nobili radici, non può stare a guardare. Se lo fa, muore”. Letta ha ricordato anche che quello degli sbarchi è un “problema europeo perché le coste siciliane sono l’avamposto del continente, la frontiera comune e violata, il primo lembo di Europa”.
Immediata la replica dei leader Ue, che nell’ultima bozza di conclusione del vertice affermano “che bisogna fare di più per evitare che questo non accada di nuovo”.
Apprendendo la supposta volontà dell’Italia e dell’Europa di impegnarsi in tal senso, non si può fare a meno di sottolineare che la strage di Lampedusa non è la prima, e purtroppo nemmeno l’ultima, visto che nei giorni immediatamente seguenti altre persone hanno perso la vita cercando di raggiungere le coste europee. Sono anni che questo accade, senza che venga presa alcuna misura seria e reale per impedirlo.
Inoltre, sarebbe importante capire cosa concretamente si intende quando si afferma che “bisogna fare di più”: se le attività si conformeranno a quelle recentemente intraprese, sia in Italia con l’operazione militare Mare Nostrum, sia in Europa con il nuovo sistema di sorveglianza Eurosur votato di recente dal Parlamento europeo insieme al rafforzamento di Frontex, allora forse potrebbe essere preferibile non fare nulla, perché operazioni del genere sono sicuramente in linea con il controllo delle “frontiere comuni e violate” citate da Letta, ma non possono in alcun modo aiutare le persone a non morire mentre provano a raggiungere l’Europa, anzi al contrario peggiorano solo la situazione.
Del resto, il vicepremier Angelino Alfano ha espresso con grande chiarezza il pensiero che c’è dietro a operazioni di questo tipo: “l’accoglienza è un punto fermo, ma lo è altrettanto che prima di pensare al futuro di chi arriva in Italia dobbiamo pensare al futuro degli italiani”, ha affermato il ministro dell’Interno a Radio Anch’io. “L’Italia è un paese accogliente ma non può accogliere tutti. Noi abbiamo una grossa difficoltà ad assicurare un futuro dignitoso ai ragazzi e ai bambini italiani”. Un ‘noi contro loro’ rimarcato nelle dichiarazioni successive, quando Alfano afferma che “molti centri hanno una capacità ridotta perché gli immigrati li hanno incendiati. E ora li stiamo ristrutturando con i soldi degli italiani”. Andrebbe anche detto il motivo di queste rivolte, le condizioni di (non) vita in questi centri.
Inoltre, Alfano ha parlato di sicurezza: “L’immigrazione illegale spesso si traduce in un problema di sicurezza nelle nostre città. L’Europa deve proteggere la frontiera italiana. Come ministero dell’Interno stiamo avendo grandi problemi, ad esempio, per fare le rilevazioni biometriche, per prendere le impronte digitali e fare le foto segnalazioni a tanti immigrati che si rifiutano. Il rischio è che girino indisturbati nelle nostre città, magari cercando di attraversare le frontiere e andare nel resto d’Europa”.
Le dichiarazioni di Alfano sembrano essere ben lontane dalla costernazione con cui i rappresentanti istituzionali hanno formalmente reagito alla strage di Lampedusa, ma molto vicine al modo in cui la strage e le operazioni seguenti sono state gestite, senza alcuna cura per le persone arrivate: né per le vittime, le cui bare sono state tumulate senza alcun rito, né per i superstiti, rinchiusi nel centro di Lampedusa e indagati per il “reato di immigrazione clandestina”, a cui non è stato nemmeno concesso di partecipare al funerale predisposto ad Agrigento dopo la tumulazione (mentre invece era presente proprio Alfano, insieme all’ambasciatore del paese da cui proprio quei 366 morti fuggivano, l’Eritrea).
Nonostante le parole di Letta, sicuramente diverse da quelle di Alfano, i punti concreti richiesti dal premier all’Europa sono in linea con una visione securitaria e di controllo, piuttosto che con una posizione incentrata sull’accoglienza. Letta ha infatti annunciato che chiederà al Consiglio “quattro impegni precisi”: oltre al riconoscimento della questione degli sbarchi come un problema europeo, Letta interrogherà l’Europa su “misure immediate per mettere in atto la rete europea di sorveglianza delle frontiere esterne, Eurosur e rafforzare soprattutto l’operatività di Frontex”, sulla possibilità “che la task force Italia-Commissione, che sarà costituita giovedì, elabori un piano d’azione per la gestione dell’emergenza migratoria nel Mediterraneo in questa crisi, che contempli il rafforzamento di Frontex, la lotta alla tratta degli esseri umani, la cooperazione con i Paesi di origine e di transito”. Infine, Letta ha spiegato che “vogliamo che l’Unione europea investa tutto il suo peso politico nel dialogo con gli Stati vicini del Mediterraneo, per integrare le questioni migratorie negli accordi di cooperazione, concludere partenariati per la mobilità e la sicurezza con gli Stati della sponda sud, favorire il ritorno e il reinsediamento dei migranti nei Paesi di origine e di transito”.
Tutti questi punti sembrano volere mantenere lontane le persone che provano a raggiungere l’Europa, attraverso l’inasprimento dei controlli e dei mezzi militari. E, se proprio non si dovesse riuscire a bloccare le partenze, allora si favorisca il rimpatrio, e la collaborazione con i paesi della sponda sud del Mediterraneo: con la Libia, ad esempio, da cui salpano la maggior parte delle imbarcazioni (21.027 persone su 35.000 solo nel 2013, secondo i dati del Ministero dell’Interno diffusi dal Cir), e dove i migranti vengono rinchiusi nelle carceri e torturati? Con quali regole? E nel frattempo, gli stati europei, primo fra tutti l’Italia, miglioreranno il sistema d’accoglienza? Modificheranno la normativa sull’immigrazione, che rende gli ingressi difficoltosi e mette le persone nelle mani dei tanto combattuti “mercanti di morte”?
Sono questi i punti che, se affrontati, potrebbero concretamente segnare un cambiamento, e non il rafforzamento di situazioni e strutture già presenti, come Frontex ad esempio, che non sembra siano state in grado, fin’ora, di impedire stragi come quella del 3 ottobre scorso.