Pochi giorni fa, nel campo di Moria a Lesbo, Grecia, è scoppiato un incendio nel quale è morta una persona e 19, bambini compresi, sono rimaste ferite. L’episodio ha generato una protesta da parte dei migranti e richiedenti asilo ammassati nel campo di Moria, dove 13mila persone sono concentrate in una struttura fatta di tende militari e container in disuso pensata per ospitarne 3mila. La frontiera di mare greco-turca è di nuovo il principale punto di ingresso per profughi, richiedenti asilo e migranti.
Secondo Unhcr nel 2019 sono 45mila le persone arrivate in Grecia, contro le 22mila in Spagna, le 7400 in Italia, 1500 a Malta e 790 a Cipro. Un aumento netto sia rispetto al 2017 che al 2018 – e non siamo ancora a fine anno. La provenienza di queste persone, che vengono al 60% da Siria e Afghanistan, ci dice che in enorme maggioranza, non sono migranti economici ma persone che lasciano Paesi in guerra o dove subiscono persecuzioni.
A Lesbos, Samos e Chios sono ospitati 26.600 richiedenti asilo. Nell’ultimo mese, Lesbos ha visto arrivare circa 2.500 persone, mentre in precedenza 1.400 erano state trasferite sulla terraferma. Il governo greco ha spiegato che il proprio ministero per l’immigrazione è in grado di gestire 20mila domande l’anno, ha annunciato nuovi trasferimenti e chiesto l’aiuto dell’Europa. Nel 2018 queste sono state poco meno di 70mila. E qui veniamo al punto.
La maggior parte di queste persone passano o arrivano dalla Turchia e ad agosto e settembre i numeri sono raddoppiati rispetto all’inizio dell’estate. Il governo greco ha annunciato che utilizzerà l’accordo tra Ue e Ankara per aumentare il numero di persone che rinvierà indietro verso la penisola anatolica: l’idea è di espellere 10mila persone in un anno “contro le 1400 di Tsipras in quattro anni”, promette il governo di centrodestra. Che ne pensano le autorità turche con le quali i greci si incontreranno nei prossimi giorni?
Un po’ di background per chi non lo ricorda: Unione europea e Turchia hanno un accordo dal 2016 che prevede controlli stretti e contenimento dei flussi di richiedenti asilo e migranti di passaggio da parte di Ankara in cambio di ingenti risorse finanziarie europee. Un’altra clausola prevede il ritorno in Turchia dei migranti che non chiedono protezione e la redistribuzione dei richiedenti asilo siriani che avessero ottenuto il visto di rifugiati dalle autorità di Ankara. L’Europa insomma, paga per non far arrivare queste persone sul suo territorio. Il 2016, ricordiamolo, è l’anno dell’esodo siriano e in Turchia oggi vivono quasi 4 milioni di rifugiati. L’accordo Europa-Turchia viola la convenzione di Ginevra (se sono rifugiato devo poter chiedere asilo, non posso venire espulso), e Amnesty lo definì un colpo ai diritti umani.
Ma l’accordo è anche un enorme regalo alla Turchia. L’aumento dei flussi verso la Grecia coincide con le minacce del presidente Erdogan di rendere porosi i confini se l’Europa non dovesse fornire al suo Paese un ulteriore sostegno finanziario o se si opponesse al suo disegno di estendere l’influenza turca nel nord della Siria – c’è la presenza curda che preme a Erdogan che non vuole che quella regione diventi autonoma quanto lo è il nord dell’Iraq. La Guardia costiera greca segnala minor cooperazione da parte degli omologhi turchi.
Erdogan, il cui Paese non è più in una situazione di boom economico da qualche anno e che “sente il peso” della presenza dei rifugiati, ha anche in mente di rispedire un milione di persone in Siria e questo ha indotto un numero più alto di siriani a partire per l’Europa.
L’accordo con la Turchia, come quello italiano con la Libia, non è dunque solo sbagliato, ma non è nemmeno risolutivo. Lascia l’Europa alla mercé delle decisioni di Erdogan (lo stesso capitava con Gheddafi) e non garantisce il giusto trattamento a persone in fuga dalla guerra. La risposta sarebbe sempre la stessa: la riforma degli accordi di Dublino. È complicato, visto il clima politico in alcuni Paesi, ma altre soluzioni vere, come mostra proprio la situazione greca in questi giorni, non sembrano essercene.
(Martino Mazzonis)