Ottanta: è questo il numero delle visite effettuate dalla campagna LasciateCIEntrare nel corso del 2015. Ottanta ingressi nei luoghi di detenzione e nelle strutture che compongono il poliedrico sistema di accoglienza italiano. Gli attivisti della campagna sono entrati nei Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione), ma anche nei molti altri centri “dedicati” ai migranti, come i Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), i Cara (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo), i centri Sprar (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), i Centri per MSNA, (Minori Stranieri Non Accompagnati), i CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), i cosiddetti “Centri Informali”. Quello che ne è emerso è purtroppo percorso da un fil rouge comune: la mancata garanzia dei diritti delle persone. Che LasciateCIEntrare denuncia nel rapporto “Accogliere: la vera emergenza”, presentato a Roma giovedì 25 febbraio.
“Ci sentiamo come se fossimo spazzatura scaricata in questo posto”. “Non possiamo scegliere l’avvocato: il mediatore sceglie chi dovrà occuparsi di noi”. “Ci trattano peggio degli animali. Non ci danno i saponi, poi dicono che siamo sporchi!”. “Qui il tempo non passa mai. Non possiamo lavorare. Non conosciamo nessuno. Mangiamo (male) e dormiamo tutto il giorno. Molti cominciano a bere”. “Bella la vostra Europa! Non possiamo fare niente! Siamo perseguitati ovunque e a casa non possiamo tornare, è tutto distrutto!”. “Quando abbiamo la Commissione? Nessuno ci dice niente”. “Se abbiamo dei problemi fanno finta di niente e ci dicono Domani, domani”. “Se ti ammali nessuno si occupa di te. C’è un ragazzo che ha sempre la febbre. Ma credi che qualcuno lo veda?” “Siamo stanchi di essere trattati come bestie, qui dentro ci viene negato qualsiasi diritto”. Queste alcuni delle voci raccolte durante le visite. Ed è forse questo l’aspetto più importante che emerge dal rapporto: le testimonianze delle persone che in queste strutture ci vivono, per tempi (troppo) lunghi. E che normalmente sono confinate nel ruolo di soggetti passivi, resi muti da un dibattito politico e mediatico che non ne fa emergere le storie, le aspettative, le problematiche.
In particolare, le visite nei 7 Cie attualmente funzionanti hanno confermato l’irriformabilità del sistema di identificazione ed espulsione, non migliorabile ma solo rimovibile -nonostante le sollecitazioni europee vadano nella direzione opposta (come specificato recentemente anche dalla Commissione di inchiesta del Senato). Le situazioni presenti all’interno dei Cie variano da struttura a struttura: c’è quello di Gradisca d’Isonzo, da tempo al centro di un processo per truffe nella gestione; quello di Bari, totalmente chiuso da una rete metallica “per evitare che i migranti salgano sui tetti per protesta” – sarebbe forse il caso di capire i motivi di queste continue proteste -; quello di Ponte Galeria (Roma), dove alle quotidiane vessazioni si è aggiunto la scorsa estate il caso ormai noto delle “69 ragazze nigeriane” – delle quali molte minorenni – vittime di tratta, rinchiuse nella struttura senza alcun tipo di sostegno – alcune di loro sono state addirittura rimpatriate, ne abbiamo parlato qui. O ancora, la struttura di Torino, che “sembra un paese dopo un bombardamento”. In tutti i Cie visitati, pesa la mancanza di mediatori e interpreti, così come l’assenza di assistenza sanitaria e legale. “I Cie si sono confermati inutili, lesivi di ogni livello della dignità umana, luoghi di deprivazione e di lesione sistematica dei diritti dei trattenuti. In quanto tali confermiamo la convinzione che debbano essere il più rapidamente possibile chiusi e che con essi debba sparire ogni forma di detenzione amministrativa”, afferma la campagna.
Le visite nelle strutture di accoglienza ovviamente pongono problemi diversi. In questo caso il problema è il “modello” di accoglienza che stenta a trovare una definizione sulla base di un approccio che continua a rimanere emergenziale.
Dall’ingresso al Cpsa di Cagliari Elmas – una ex caserma militare all’interno dell’area dell’aeroporto militare, un luogo in cui “i migranti lottano contro l’assistenzialismo, in mesi in cui cresce il disagio sociale e psicologico”-, ai Cara di Bari e Mineo, passando per l’Hub (ex Cie) di via Corelli a Milano, quello che ne esce è la persistenza di strutture di grandi dimensioni, in cui sono accolti i richiedenti asilo in condizioni di sovraffollamento e di ghettizzazione, in attesa di una risposta delle commissioni preposte giunta spesso con mesi, a volte oltre un anno di ritardo.
Ma le maggiori criticità del sistema di accoglienza, secondo le visite effettuate, riguarda i Cas: Centri di Accoglienza Straordinaria, o meglio “strutture di carattere emergenziale, gestite direttamente dalle prefetture senza nessun vincolo di consultazione con gli enti locali di prossimità”. In questi luoghi ai margini delle località abitate sono presenti oltre il 72% di coloro che attendono risposte alla richiesta di protezione. La campagna LasciateCIEntrare ne ha visitati cinquanta, ascoltando le storie e la rabbia di chi da mesi vive in condizioni pessime, all’interno di centri che “non solo sono fonte di business incontrollabili, ma che si rivelano anche socialmente disastrosi, producendo marginalizzazione e abbrutimento”.
Proprio sui Cas LasciateCIEntrare ha promosso, insieme a CittadinanzAttiva e Libera, la campagna inCAStrati, con l’obiettivo di avviare iniziative civiche volte a rendere accessibili le informazioni sul funzionamento e la gestione di queste strutture. A partire da giugno 2015 la campagna ha inviato al Ministero dell’Interno e alle Prefetture italiane una serie di istanze di accesso civico, chiedendo inoltre la pubblicazione dell’elenco dei Cas, con gli enti gestori e le informazioni relative a gare, convenzioni, esiti dei monitoraggi. Dati che, quando sono arrivati, sono comunque stati rilasciati in modo parziale: se ne dà conto nel documento presentato insieme al rapporto di LasciateCIEntrare.
Ci sono anche luoghi dove la campagna non è riuscita ad entrare: per alcuni centri, infatti, l’accesso è risultato particolarmente difficile, per altri addirittura impossibile. Segno che il monitoraggio della situazione non viene sempre assicurato, forse proprio a causa delle indegne condizioni spesso rilevate. Le tante disfunzioni sono state segnalate anche alle Prefetture, con lettere che è possibile leggere all’interno del rapporto. Ancora assenti le risposte. Questo silenzio, così come i dinieghi ricevuti alle richieste di accesso, “dimostrano come la trasparenza rispetto alle proprie azioni sia un concetto che ancora raramente si affaccia nei nostri Palazzi”.
In sintesi: la storia sembra ripetersi volgendosi al peggio. Quel “diritto di accesso” nei CIE che il Ministro Maroni negò nel 2011 agli operatori dei media e agli attivisti della società civile con una ormai famosa circolare ritirata dal suo successore nel 2012 proprio grazie alla mobilitazione della campagna Lasciatecientrare, oggi sembra sempre più a rischio anche con riferimento alle strutture di accoglienza, soprattutto se “straordinarie” (i CAS). Non potrebbe esserci una risposta peggiore alle numerose indagini che hanno coinvolto alcuni enti gestori a Roma, a Mineo e ad Avellino. Motivo per cui la campagna in un suo documento politico che accompagna il resoconto delle visite effettuate, rinnova il suo impegno di monitoraggio e denuncia delle violazioni riscontrate ampliando ufficialmente l’ambito di intervento dai CIE agli hotspot al sistema dei Cara e dei CAS.
Intanto, mentre scriviamo, giunge una buona notizia: il CIE di Bari, a lungo oggetto di denuncia della campagna, è stato chiuso.
Qui è possibile leggere il rapporto
Qui il documento della campagna InCAStrati