Sono ripresi gli sbarchi. A dircelo sono i titoli dei giornali che, come ormai succede da anni, parlano di “invasione”, “ondata”, “emergenza”. Ce lo dicono anche le immagini che arrivano dalle coste, che mostrano uomini, donne e bambini finalmente sulla terraferma, dopo un viaggio più lungo e drammatico di quello che spesso viene immaginato. Non che fossero mai finiti, gli sbarchi: ce lo ricordano i numeri diffusi dall’Acnur. Nel 2014 sono state 219.000 le persone che hanno attraversato il Mediterraneo. 3500 le vittime tra i tanti che, in fuga dai conflitti che dilaniano vite e territori, trovano la morte in mare. Solo dall’inizio del 2015 circa 31.500 persone hanno intrapreso traversate marittime per raggiungere l’Europa, soprattutto “Italia e Grecia – rispettivamente il primo e il secondo principale paese di arrivo”. E ora “i numeri stanno crescendo ulteriormente. Secondo la Guardia Costiera italiana – sottolinea l’Acnur – dal 10 aprile sono state salvate più di 8.500 persone che viaggiavano su decine di barche e gommoni”. Anche il quotidiano inglese The Guardian ha ricordato lo sforzo fatto dai mezzi della marina italiana.
Ma ogni salvataggio, ogni sbarco, si porta dietro un carico di morte. A volte riguarda moltissime persone e suscita maggior scalpore mediatico. A volte passa sottotraccia. Ma la morte resta una costante: lunedì “il capovolgimento di una barca a due piani a circa 120 chilometri a sud di Lampedusa”, come riportato sempre da Acnur, ha portato alla morte di otto persone, i cui corpi sono stati recuperati. 142 i sopravvissuti, i quali hanno parlato di 400 dispersi. “Se i 400 morti verranno confermati, il bilancio delle vittime dall’inizio di quest’anno raggiungerà le 900 unità” (per info sul naufragio Watch the med, Il Fatto quotidiano).
900 morti: nello stesso periodo del 2014, i morti erano “17, con un aumento di oltre 53 volte del numero di migranti e rifugiati morti in mare”, sottolinea Amnesty International, denunciando “la costante negligenza dei governi europei di fronte alla crisi umanitaria in atto nel Mar Mediterraneo”.
Nonostante i tanti appelli di Ong e associazioni, ma soprattutto nonostante il persistente dramma di tante persone, l’immobilismo dell’Unione Europea è disarmante. “Quante altre persone dovranno morire prima che i governi europei riconoscano che fare affidamento su risorse arrangiate per le operazioni di ricerca e soccorso non è abbastanza?”, ha dichiarato Gauri Van Gulik, vicedirettrice del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
Di fronte a questa situazione, le parole pronunciate oggi dopo il G7 di Lubecca dal ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni suonano retoriche, quando chiede “il potenziamento di Triton”. Triton è un’operazione nata senza la mission del search and rescue, tanto che i mezzi a disposizione non si spingono oltre 30 miglia dalle coste italiane. “L’impegno è al 90% sulle spalle della marina italiana, ma l’emergenza non riguarda solo l’Italia. Non dobbiamo creare panico ma salvare vite e accogliere persone in modo civile”, ha affermato Gentiloni. “L’Italia sta portando avanti un fardello enorme per conto dell’Europa”, gli ha fatto eco il portavoce della Nazioni unite Stéphane Dujarric. Anche il presidente del parlamento europeo Martin Schultz ha sottolineato l’impegno dell’Italia, ricordando che “iI Mediterraneo è la frontiera più letale per l’Europa”, ma sottolineando inoltre come Bruxelles debba trovare “un’urgente soluzione politica ai conflitti in Siria e Libia”. Anche il Commissario Ue agli Affari Interni e all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos ha riconosciuto la necessità di “sostenere e aiutare l’Italia in questo momento di forte pressione”, annunciando “un viaggio in Sicilia, la prossima settimana, per incontrare il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e visitare i centri di accoglienza per gli immigrati”. Avramopoulos ha inoltre comunicato la presentazione, entro fine maggio, di un’agenda che delinei un approccio alla questione immigrazione “non più frammentato, ma comune e completo”.
Non si può essere in disaccordo con le parole dei rappresentanti istituzionali: occorre salvare vite, accogliere le persone in modo civile, grazie a un approccio comune che preveda anche soluzioni politiche ai conflitti. Ma la realtà è totalmente diversa, e lo sanno tutti, istituzioni nazionali ed europee comprese.
Le crisi che costellano il panorama internazionale non avranno una soluzione rapida, e intanto le persone continueranno a fuggire. In mancanza di strumenti legali, si affideranno ad ogni mezzo pur di avere una possibilità di pace e di autodeterminazione della propria vita. Spesso questi mezzi, pagati a caro prezzo, sono pericolosi: spesso portano alla morte. Chi riesce a arrivare in Europa si scontra con un’accoglienza che da anni è “emergenziale”, o meglio ancora che “ad oggi non esiste”, come sottolineato da Save the children. Con tutto quello che ne consegue: mancanza di controlli, strutture inadeguate, assenza di coordinamento, infiltrazioni criminali.. problemi che ricadono su chi invece ha diritto alla protezione, per legge. Che, al posto di ricevere ciò che gli spetterebbe se non per solidarietà umana e senso di civiltà, almeno per diritto, viene invece investito da un’ondata di razzismo mediatico e politico fortissimo, che poi si declina nella quotidianità delle persone.
Da anni gli stati e le istituzioni si rimpallano le responsabilità. Il leit motiv più frequente è la necessità di rinforzare gli strumenti che già ci sono, preposti in realtà al controllo delle frontiere, e inoltre, a quanto pare, totalmente inefficaci a garantire una giusta accoglienza evitando le morti. La verità è che “Mare Nostrum non è mai stato sostituito da un’operazione di salvataggio equivalente, e allo stesso tempo mancano vie legali di ingresso in Europa per coloro che necessitano di protezione“, come sottolineato dall’Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres, il quale ha ricordato che “per tutti coloro che necessitano protezione, è fondamentale aumentare le opportunità di reinsediamento e di ammissione umanitaria ed implementare una politica dei visti più flessibile, programmi di ricongiungimento familiare avanzati, e un meccanismo efficace per salvare le persone in mare nel Mediterraneo centrale”. “L’Europa – ha commentato Van Gulik di Amnesty – ha ridimensionato la capacità delle operazioni di ricerca e soccorso sul falso assunto che quelle operazioni stavano agendo da ‘fattore di spinta’, attirando cioè un maggior numero di migranti. La realtà del Mediterraneo si è incaricata di smentire quella fallacia, dato che il numero di persone disperate che cercano di raggiungere l’Europa sta aumentando“.
Le proposte concrete non mancano: perché L’Unione Europea non istituisce canali umanitari per l’ingresso legale e sicuro dei richiedenti asilo? Perché ancora non esiste un sistema coordinato di accoglienza? Perché non viene applicato uno strumento che già c’è, ossia la Direttiva Europea sulla Protezione Temporanea 2001/55/CE, relativa alla “concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati”?