Sotto il titolone “L’élite percepisce gli italiani come imbecilli”, Mario Giordano giudica con una certa aggressività un questionario del Corriere della sera.
Dell’analisi delle capacità da parte delle (varie) élites, compresi editorialisti e direttori di testate, di avere un’idea di come vivono, pensano, sognano e temono gli italiani si sente da decenni l’esigenza: ma forse sarebbe bene fondare su dati accertati i discorsi, le critiche, le analisi. Non sembra però che sia l’analisi, l’attività praticata o auspicata da Giordano, che rotola una serie di giudizi, alcuni divertenti, altri meno. Che l’élite percepisca le masse come poco informate, incapaci di giudizio, etc., è plausibile, tanto quanto è vero ciò che dal questionario del “Corriere” vien fuori e che viene invece proposto al ludibrio dall’opinionista della “Verità”: sempre di percezioni si tratta, e si dà il caso che circolino molte percezioni errate di molti fenomeni sociali, senza distinzioni di ceto o di diploma; la “sicurezza” (a proposito della quale il Viminale parla da almeno un decennio di percezione, magari strumentalmente), la presenza degli immigrati, la quantità di rifugiati, il loro costo, etc. Ha perciò poco da predicare Giordano, che vorrebbe qui opporre a dei numeri certi verità presunte collimanti con percezioni certo non “di tutti” ma di molti: le stesse persone che non ebbero la percezione una dozzina d’anni fa dell’arrivo di 200.000 immigrati l’anno, per lavoro e ricongiungimenti familiari, oggi moltiplicano per 15, 20 o 50 le cifre dell’arrivo dei richiedenti asilo; etc. Certo, non è dicendolo su un giornale che cambia qualcosa: i numeri colpiscono poco le emozioni e le percezioni, e raccontare storie, sollecitare paure, sviare attenzioni, è molto più proficuo.
Da quattro decenni circa, l’economia comportamentale, muovendo da studi di psicologia della percezione, ha mostrato quanto abbia da guadagnare un politico, un economista, persino un allenatore di basket o di baseball (come testimoniano ricerche di grande qualità e addirittura un film, “L’arte di vincere”) dall’impegno a non seguire impressioni e insistere invece su dati certi, raccolti con intelligenza e metodo. L’arte di vincere nel baseball avrebbe a che fare, infatti, con la resistenza agli stereotipi e alle percezioni distorte.
L’amministrazione degli Stati Uniti d’America ha tratto profitti anche economici seguendo semplici consigli di cultori di tali metodi, come Carl Sunstein; il quale, che, peraltro, ha fornito spunti di analisi preziosi su come si inventano emergenze e panico a partire da pettegolezzi e dicerie. E ci dev’essere qualche ritorno economico rilevante da parte della diffidenza per le distorsioni percettive di masse e di élites, se il premio Nobel dell’Economia è stato attribuito all’inizio del millennio allo psicologo Kahnemann e l’anno scorso all’economista, ma suo allievo, Thaler. Certo, ci si può sempre immaginare che si tratti di un complotto per prendere in giro le masse, da parte di élites mondiali rosicone….
Giuseppe Faso