Un “bilancio di un’Europa che protegge, dà forza e difende”, scegliendo come priorità strategiche, coerentemente con quanto già anticipato nel Libro bianco sul futuro dell’Europa presentato nel marzo 2017, ricerca, migrazione, controllo delle frontiere e difesa. E’ la proposta di QFP (Quadro finanziario pluriennale) dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027, presentata ieri dal Presidente della Commissione Europea Junker all’Europarlamento. Dovrà essere approvata dal Parlamento e dal Consiglio nei prossimi mesi.
1.135 miliardi di euro in impegni (espressi in prezzi del 2018) per il periodo 2021-2027, pari all’1,11 % del reddito nazionale lordo dell’UE-27 che si traducono in 1.105 miliardi di euro (l’1,08% del reddito nazionale lordo) in termini di pagamenti (a prezzi 2018): queste le dimensioni di una proposta condizionata dalla Brexit e dal mantenimento di un approccio che opta ancora una volta per “fare di più con meno”, mantenendo la barra dritta sulle politiche di austerità.
Tutto il contrario di quanto chiedono da tempo molte organizzazioni della società civile, suggerendo, ad esempio, di portare le dimensioni del bilancio europeo almeno al 4% del Pil europeo.
In termini assoluti, la proposta licenziata dalla Commissione mantiene dimensioni analoghe a quelle del bilancio pluriennale 2014-2020, nonostante la Brexit, grazie ad alcuni tagli proposti per i finanziamenti della politica agricola comune e delle politiche di coesione, alla diversificazione delle fonti di entrata (che dovrebbe prevedere l’introduzione di nuove risorse proprie), alla riduzione e riorganizzazione dei programmi di finanziamento (gli attuali 58 dovrebbero ridursi a 37) e all’inclusione nel Quadro finanziario pluriennale del Fondo europeo di sviluppo. Questo Fondo, che finanzia la cooperazione allo sviluppo con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, è finora stato solo un accordo intergovernativo: nel nuovo budget UE, varrebbe circa 9,2 miliardi, un po’ meno dei 13 che mancheranno a seguito della Brexit.
Tra le novità positive: il raddoppiamento delle risorse destinate al programma Erasmus+ (30 miliardi di euro) e l’aumento dei fondi per ricerca, agenda digitale e investimenti strategici (187,4 miliardi).
La Commissione propone anche di aumentare le risorse destinate alle migrazioni e al controllo delle frontiere esterne portandole a 34,9 milioni di euro e stanziamenti per la difesa pari a 27,5 miliardi di euro. Occorrerà attendere il dettaglio dei diversi programmi di spesa per capire quanto l’attenzione dedicata alle politiche migratorie e sull’asilo si tradurrà in politiche di accoglienza e inclusione o, invece, in un ulteriore barricamento della Fortezza Europa, come sembra trapelare da alcune notizie di stampa.
Ad esempio, il budget destinato all’agenzia FRONTEX, cui spetta il controllo dei mari e delle frontiere esterne, dovrebbe aumentare ulteriormente e consentire di portare l’organico dell’agenzia fino a 10mila agenti. D’altra parte, il passato recente insegna che molti progetti europei finanziati con i fondi destinati alla ricerca hanno avuto l’obiettivo di sviluppare nuovi sistemi tecnologici di sorveglianza proprio al fine di intercettare (e fermare) i flussi migratori.
Per ora i dati pubblicati dalla Commissione evidenziano, oltre alle risorse sopra indicate, la costituzione di una “Riserva dell’Unione” di 4,7 miliardi di euro per affrontare meglio gli imprevisti e le situazioni di emergenza connessi alle migrazioni e alla sicurezza. Sembrerebbe ad oggi esclusa l’opzione di penalizzare gli Stati membri (come quelli del gruppo di Visegrad) che non sono disponibili ad accogliere i migranti, mentre sarebbe al vaglio l’ipotesi di premiare quelli maggiormente esposti ai fenomeni migratori (come l’Italia e la Grecia).
Intanto, il prossimo Consiglio Europeo degli affari interni, che si occuperà di migrazioni e gestione delle frontiere, è convocato per il 12 giugno e avrà il compito di specificare le priorità politiche dell’Unione sulle migrazioni e sull’asilo dei prossimi anni.
Certo è che quel “vincolo di solidarietà” evocato ieri dal Presidente della Commissione, come principio cardine dell’Unione del futuro, stenta a divenire realtà in questo ambito: il piano di ricollocazioni concordato nel 2015 è ancora ampiamente disatteso e il progetto di riforma del Regolamento Dublino III rischia di essere bloccato a causa delle resistenze dei paesi del gruppo di Visegrad, ostili alla previsione di quote obbligatorie e automatiche di redistribuzione dei migranti tra i Paesi membri.