Una generale condizione di degrado, sovraffollamento, promiscuità: questo quanto osservato dai giornalisti che finalmente sono riusciti a entrare nell’hotspot di Lampedusa, attivo come tale dal settembre 2015.
Un ingresso avvenuto il 3 ottobre, in occasione della Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza, istituita il 16 marzo scorso in memoria della strage in cui, nel 2013, persero la vita 366 persone (ne abbiamo parlato qui).
I sette giornalisti sono entrati nella struttura a seguito degli accordi stretti lo scorso luglio tra l’Fnsi, l’Associazione Carta di Roma e il dipartimento Libertà civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno (ne abbiamo parlato qui). Durante la visita, che si è svolta in presenza del prefetto e del questore di Agrigento, non è stato concesso l’uso di registratori, macchine fotografiche e videocamere: un forte limite al dovere di cronaca e al diritto della società civile ad essere informata. Proprio sulla necessità di far conoscere questi luoghi alle persone, consentendo l’accesso anche a associazioni e ong, ha recentemente insistito l’ufficio Onu per i diritti umani (OHCHR), evidenziando come gli hotspot rappresentino centri detentivi, piuttosto che strutture per l’identificazione e la registrazione (ne abbiamo parlato qui). Le criticità sono state confermate dai giornalisti: “I tempi di attesa sono lunghi, talvolta mesi. Una donna sta aspettando da due mesi”, afferma Valerio Cataldi, giornalista del Tg2, membro della delegazione, denunciando anche la presenza di numerosi minori, anche non accompagnati, che avrebbero invece diritto ad un trattamento differente e a spazi separati dagli adulti. “Nella struttura -prosegue Cataldi – abbiamo inoltre constatato come siano ospitate circa 200 persone. Le condizioni generali sono di degrado, basti pensare che i materassi sono senza lenzuola”.
In Italia sono presenti 4 hotspot: a Lampedusa, a Trapani, a Pozzallo e a Taranto, divenuti ufficialmente operativi tra settembre 2015 e febbraio 2016. Si tratta di strutture volute dall’Unione Europea, con l’obiettivo dichiarato di distinguere i migranti al loro arrivo, dividendoli tra i cosiddetti “migranti economici” e le persone con diritto d’asilo (qui Hotspot Factory, video prodotto da Vurria Produzioni sul ruolo e le contraddizioni del sistema Hotspot). La procedura con cui si effettua la distinzione, già di per sé opinabile, e le sue conseguenze per i migranti sono state oggetto di forti critiche: l’OHCHR non è infatti stato il primo a sottolineare i nodi problematici del sistema: molte associazioni denunciano da tempo il forte rischio che nelle strutture vengano violati i diritti umani dei migranti (ad esempio Oxfam Italia e ASGI e associazioni attive sul territorio come L’altro diritto Sicilia e Borderline Sicilia).
“È un fatto importante sia stata data questa autorizzazione ed è fondamentale si ripeta, sia in relazione agli hotspot che agli altri centri di accoglienza”, così Vittorio di Trapani, che ha visitato l’hotspot in rappresentanza della Federazione Nazionale Stampa Italiana – Fnsi.
L’apertura della struttura agli addetti stampa garantisce, seppur in parte, il diritto dei cittadini ad essere informati. La stessa garanzia non sembra esserci rispetto ai diritti dei migranti che questa realtà la vivono. Per i quali l’auspicio sarebbe la definitiva chiusura di quelle che sono a tutti gli effetti strutture di detenzione.