Secondo il Dipartimento di statistica della Danimarca, nel Paese vivono 596mila stranieri, 250mila tra questi vengono da Paesi europei. I cittadini non comunitari sono il 5% della popolazione (nel 2017 circa 5,8 milioni di persone). Il gruppo di stranieri più grande del Paese sono gli svedesi, il primo gruppo straniero proveniente da un Paese non scandinavo i polacchi, il primo gruppo straniero proveniente da un Paese terzo i siriani, seguiti dai turchi, che hanno una lunghissima storia di immigrazione nel Paese, come greci ed ex Jugoslavi. Al picco della crisi dei rifugiati, quando i siriani vagavano per l’Europa cercando di raggiungere la Svezia e la Germania, le domande di asilo consegnate alle autorità danesi sono state 11mila. In quelle settimane alcuni cittadini danesi sono stati fermati e processati per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver dato dei passaggi in auto a famiglie che camminavano lungo le autostrade.
Misure emergenziali in assenza di emergenza
Il quadro della situazione dell’immigrazione in Danimarca non sembra dunque essere emergenziale. Non c’è un flusso costante di ingressi, non c’è un picco di domande di asilo. Eppure il governo danese non smette di legiferare contro gli immigrati regolarmente residenti nel Paese. Una legge del 2002 rende la riunificazione familiare un percorso a ostacoli difficile da superare – qualche coppia mista danese ha infatti deciso di trasferirsi oltre il ponte che collega la periferia di Copenaghen alla Svezia. E sempre dal 2002 si parla del problema dei “quartieri ghetto” dove sarebbe messa a rischio la “danesità” a causa di un numero troppo alto di persone che non parlano la lingua e che non condividono i valori danesi – alzi la mano chi sa fare una lista di dieci valori danesi.
La soppressione dei ghetti, che naturalmente richiederebbe politiche urbane e del lavoro – perché gli immigrati non vanno a vivere in quartieri brutti e degradati per scelta – è diventata un obiettivo del governo di destra-destra in carica che vede nel Partito del Popolo Danese il principale azionista. Obiettivo del governo è “sradicare i ghetti entro il 2030”, la definizione di ghetto del governo prevede una percentuale di immigrati provenienti da Paesi non occidentali attorno o sopra al 50%, tassi di disoccupazione elevati o il 2,7% di popolazione con condanne penali. “Dobbiamo riconoscere il Paese dove viviamo, ci sono posti dove io non lo riconosco” ha detto il premier Rasmussen, leader del socio di minoranza del governo, il partito Venstre (un partito di destra da sempre, anche se Venstre significa sinistra”). Tutta la retorica del ghetto sembra costruita e usata per rafforzare l’idea – una fake news basata su un rapporto della polizia della città svedese di Malmoe – che “in certi quartieri delle città scandinave non si può entrare”.
A oggi ci sono 25 quartieri o comunità che rispondono al profilo di ghetto, metà si trovano nella capitale o nei suoi dintorni e quasi tutti sono popolati da immigrati provenienti da paesi a maggioranza musulmana. Quella del governo danese, sebbene non sia dipinta come tale, è infatti una crociata contro la popolazione di origine musulmana. La destra danese ha fatto della popolazione musulmana il suo obiettivo di polemica a partire dal 2005, quando lo Jylland Posten pubblicò 20 vignette che ritraevano Maometto. Da allora le cose sono peggiorate in maniera costante.
Ma cosa dice la legge presentata dal governo danese?
Uno degli aspetti più controversi è l’iscrizione forzata all’asilo nido dei bambini dei cosidetti “ghetti” al compimento di un anno di età. I bambini qui devono imparare i valori danesi e la lingua per un minimo di 25 ore settimanali. I genitori danesi non hanno questo obbligo, ma se gli stranieri dovessero non adempiere potrebbero perdere i benefici di welfare. Quelli danesi, ovviamente, no.
Le leggi consentono al governo di ordinare che alcuni ghetti vengano demoliti. Il governo ha accantonato circa 1 miliardo e mezzo di euro per la demolizione o la conversione di quartieri da qui al 2026.
I piani rendono più facile per i proprietari lo sfratto degli inquilini. Resta da capire cosa significhi questo per le comunità che ci vivono, che destino le aspetta, dove gli verrà concesso di spostarsi. I quartieri ghetto sono infatti un modo per stare assieme, luoghi di precipitazione dell’immigrazione per ragioni culturali e comunitarie, ma anche molto per ragioni legate ai prezzi delle case e all’esclusione da parte della società che accoglie. Vorranno i danesi convivere con le famiglie musulmane o preferiscono la situazione attuale di parziale (e non esagerata) separazione?
Una delle misure più incredibili è il doppio binario per la giustizia: i crimini commessi all’interno delle zone designate come ghetti saranno puniti due volte più duramente. E se un reato viene normalmente punito con una multa, la stessa infrazione commessa in un ghetto potrà essere punita il carcere. Se uno di mestiere fa il ladro, meglio farlo in un quartiere di soli danesi, insomma.
Le misure del governo a egemonia del Partito del Popolo Danese propongono anche che gli immigrati che vivono nei ghetti dovrebbero avere un accesso ridotto ai benefici di welfare. L’unica misura a beneficio degli abitanti stranieri è l’incentivo per i comuni a far partecipare le persone che vivono in queste aree al mercato del lavoro: lo Stato pagherà circa 7mila euro di incentivi per posto di lavoro creato.
Nel complesso un pacchetto di misure al limite delle leggi razziali, o meglio di discriminazione su base religiosa – trova la differenza. Quel che non le rende tali è il fatto che queste si applicano solo in certe aree e non a tutti gli abitanti stranieri che vivono nel Paese. O a chi professa una religione. Questo le rende doppiamente discriminatorie, perché chi vive in quelli che il governo definisce ghetti sono gli immigrati più poveri. Nel 2016 il comune di Rander pensò di approvare un regolamento che imponeva alle mense scolastiche di servire maiale. Un non problema, perché le mense lo servivano e nessuno mai aveva pensato di bandirlo. Quel regolamento, come le leggi di cui parliamo in questo articolo sembrano proprio pensate per alimentare la tensione, accrescere le divisioni interne alla società, stigmatizzare una parte della popolazione.
Due elementi che rendono questa vicenda più grave sono: l’approvazione delle misure da parte di almeno una parte consistente del partito socialdemocratico – quando si dice non imparare la lezione – e l’uso corrente della parola ghetto. Il ghetto è un luogo in cui una porzione della popolazione veniva relegata, non qualcosa che si sceglie. E gli ultimi ghetti sui quali si è intervenuti utilizzando strumenti di legge sono stati svuotati della loro popolazione con i treni piombati.