Un’emergenza, per definizione da dizionario, è una circostanza imprevista. Non ci sono segnali che la fanno prevedere. E’ per questo che, in caso di un’emergenza, tendenzialmente si reagisce con mezzi di fortuna e modalità improvvisate. Se l’emergenza prosegue, diventa una condizione strutturale: mezzi e modalità di fortuna non solo non basteranno, ma saranno inutili e dispendiosi in termini di tempo, energia e denaro. Se, auspicabilmente, l’emergenza termina, tanto meglio: la prossima volta- se mai dovesse capitare- si saprà come intervenire in modo meno improvvisato e più efficiente.
Il ragionamento sembra logico, ma forse non lo è per tutti: almeno, non per il Governo per quanto riguarda l’accoglienza delle persone di origine straniera che arrivano sul territorio nazionale.
Sono stati, in questo ambito, moltissimi i precedenti. Da tempo le associazioni chiedono di definire in maniera puntuale un piano d’accoglienza strutturato e coordinato a livello nazionale, nello specifico puntando, pur con tutti i suoi limiti, sul sistema Sprar (Servizio Protezione Richiedenti Asilo), in un’ottica di accoglienza diffusa su tutto il territorio nazionale, a basso impatto per i territori e per i migranti, in centri piccoli con possibilità di seguire percorsi personalizzati verso l’inserimento nel tessuto socioeconomico.
Un’utopia? No, se fatto per tempo, senza aspettare che la situazione diventi ingestibile.
Quello degli sbarchi è solo l’aspetto più evidente, maggiormente osservato dai media, e su cui le istituzioni italiane, il Ministero dell’Interno in testa, puntano nei rapporti con l’Unione Europa, battendo cassa per maggiori finanziamenti per, di fatto, contrastare le partenze, più che per migliorare l’accoglienza.
Con la ripresa degli sbarchi, gli appelli si sono moltiplicati: i sindaci dei vari territori hanno iniziato a invocare l’intervento nazionale, le associazioni a dare indicazioni su come tamponare nel migliore dei modi la situazione. Ma, a parte qualche visita di rappresentanza, ben poco è stato fatto: le persone arrivano e continuano a essere letteralmente stipate in strutture di fortuna (come, solo per fare un esempio, il PalaNebbiolo di Messina), o in alberghi, dove sono lasciati privi di qualsiasi assistenza.
Oppure, vengono trasportate come pacchi da una città all’altra, e lì lasciati. E’ quello che è successo a Rogoredo, o a Milano, dove nelle ultime 24 ore circa 500 persone, quasi tutte provenienti dalla Siria, hanno dormito nelle stazioni Centrale e Porta Garibaldi. La stessa cosa è accaduta a Roma, dove due giorni fa circa 170 persone sono state letteralmente scaricate da un pullman e lasciate nel piazzale della stazione metro Anagnina, “scalzi, senza acqua né cibo”, come denunciato dall’Unhcr (link al comunicato). Anche le persone arrivate a Milano e Rogoredo sono arrivate con i pullman, organizzati dalla Prefettura di Taranto. Evidentemente, vista la situazione, si pensa semplicemente di riversare la questione da un territorio all’altro senza alcuna volontà di predisporre soluzioni adeguate.
A proposito di sbarchi e accoglienza, dodici sindaci della provincia Iblea hanno firmato un appello rivolto al ministro dell’Interno Angelino Alfano, atteso lunedì prossimo a Ragusa: “Non siamo più in grado di reggere completamente da soli il peso di una emergenza senza precedenti, nonostante la storica e consolidata cultura dell’accoglienza che ha reso negli anni il nostro territorio un modello. Sono necessari mezzi, uomini e soprattutto risorse economiche”. Finora nei comuni del Ragusano sono stati assistiti “più di 11 mila migranti, più del doppio rispetto a quanto avvenuto in tutto il 2013”.
In questa situazione, è rimbalzato più volte l’allarme sanitario. L’ultimo è quello del sindaco di Roma Ignazio Marino, che in una lettera ai ministri Angelino Alfano (Interno) e Beatrice Lorenzin (Salute) esprime la sua preoccupazione per le condizioni ”igienico-sanitarie” e per la mancanza di controlli e assistenza agli immigrati che stanno giungendo in Italia e nella Capitale in queste ore, suggerendo l’istituzione di “presidi territoriali per eseguire screening di tipo medico, che possano da un lato rassicurare gli immigrati circa le loro condizioni di salute e, dall’altro, tranquillizzare la comunità che li riceve”.
L’allarme è stato spesso usato strumentalmente da forze politiche e mass media (approfondimenti qui e qui). E’ però innegabile che alcuni problemi possono sorgere, con l’arrivo di moltissime persone che, appena sbarcate dopo viaggi massacranti e al limite della sopravvivenza, vengono stipate in luoghi totalmente inadeguati, di grande promiscuità, sovraffollati e privi delle più basilari condizioni igieniche. A fronte di situazioni di questo tipo, ancora una volta manca totalmente una presa in carico nazionale.
Le profonde lacune istituzionali sono evidenti quando si parla di primissima accoglienza, di sbarchi, insomma di situazioni palesi e ben visibili agli occhi di tutti: 200 persone in una stazione non passano inosservate.
Rischiano invece di non essere viste le tante persone stipate nei CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo). Persone che, come dice il nome delle strutture che le “ospitano”, hanno formulato domanda di protezione internazionale. Nell’attesa di avere una risposta da parte della Commissione preposta, vengono trasferite nei Cara. Teoricamente, dovrebbero ricevere un’assistenza adeguata: mediatori culturali, interpreti, avvocati, per accompagnare il richiedente asilo prima di fronte alla Commissione, poi all’interno del tessuto sociale ed economico nazionale, con corsi di lingua, di formazione etc. In pratica, i Cara sono costantemente sovraffollati, e le condizioni al loro interno sono indegne. Ma come potrebbe essere altrimenti?
L’obiettivo che c’è alla base di queste strutture non è accogliere in una prospettiva di inserimento a lungo termine, bensì contenere, e al minor prezzo. Lo stato appalta la gestione delle strutture a cooperative esterne, e vince chi presenta il conto meno salato. Poco importa se, per farlo, si deve tagliare su tutto: sulla qualità del cibo, sui servizi alla persona, sull’igiene, sui bus usati specificatamente per trasportare gli “ospiti” da questi luoghi isolati da tutti e tutto alle città.
E’ esattamente questo il motivo alla base della protesta messa in atto due giorni fa dai richiedenti asilo del CARA di Castelnuovo di Porto, a due passi da Roma. Una protesta che non è sorta dal nulla: la premessa c’era già stata il mese scorso, ed era stata violentemente repressa dalle forze dell’ordine, il cui intervento aveva mandato 4 persone in ospedale (approfondimenti qui). Due giorni fa, si è ripetuto lo stesso copione. La cooperativa che gestisce il Cara (e anche il CIE di Ponte Galeria), Auxilium, ha comunicato agli “ospiti” che non avrebbero avuto risposte circa la loro situazione prima del 20 giugno. Peccato che è anni che i migranti protestano, e peccato che, a seguito della manifestazione di maggio, Auxilium aveva detto che la risposta sarebbe arrivata il 10 giugno. Di slittamento in slittamento, le persone perdono tempo, dignità e possibilità di vivere meglio. “Siamo trattati come bestie, non come essere umani. Qui il cibo è scadente, siamo completamente isolati e non ci danno il pocket money” (I soldi a cui i richiedenti asilo ospitati nei Cara avrebbero diritto). Esasperati, i migranti sono usciti dalla struttura e hanno bloccato la Tiberina. Ancora una volta, la risposta istituzionale è stata solo repressiva. Una decina di persone sono state fermate, e i testimoni accorsi, membri di collettivi e associazioni, identificati. La polizia ha fatto irruzione nel centro, caricando le persone. Sei migranti, quattro uomini e due donne, sono stati portati via di peso.
Tutte queste situazioni hanno un minimo comune denominatore: l’abbandono. I sindaci dei territori si dicono abbandonati dalle istituzioni, i migranti anche. E infatti, in questo “racconto”, manca la voce di qualcuno: è quella dello Stato. Che, ancora una volta, latita.
Anzi, a dir la verità, aggrava la situazione: l’altro ieri la Camera dei Deputati ha bocciato alcuni importanti articoli della Legge di Delegazione Europea 2013-bis, che regola i criteri di delega al Governo per il recepimento delle direttive UE in merito all’accoglienza dei richiedenti asilo. Il motivo? La mancanza di copertura finanziaria, anche se, come ricorda l’Asgi, “il reperimento delle risorse finanziarie per gestire il sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati costituisce un obbligo per gli Stati dell’Unione”.
Una pericolosa battuta d’arresto, come denuncia l’associazione, quando invece è urgente e necessario un quadro di riforma del sistema asilo e la programmazione di una giusta accoglienza.
Ciò che è accaduto alla Camera è grave: la mancanza di accoglienza ha costi umani, ma anche economici sulle persone e su chi deve accoglierle nei territori, altissimi.
Lo diciamo da sempre: una programmazione strutturale dell’accoglienza è possibile, è giusta, e è funzionale a una situazione migliore per i cittadini italiani e per quelli stranieri.
Le istituzioni nazionali però sembrano essere sorde a riguardo. E’ questa la vera emergenza.