“Non c’è alternativa alla chiusura di quella struttura”. Lo afferma la Cgil di Emilia Romagna, Bologna e Modena, che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica, e “quella struttura”, per cui l’unica alternativa prevista è la chiusura, è il Cie di via Mattei, a Bologna.
Che in effetti, ora, è chiuso.
Ma non per sempre: il Prefetto di Bologna ha infatti deciso, dopo l’ispezione dell’Ausl, “lo svuotamento temporaneo”, per consentire lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria. Per i quali il Viminale ha stanziato 150mila euro.
“Un atto inevitabile e necessario date le condizioni del Centro, che evidenziavano un drammatico stato di fatiscenza e incompatibilità con condizioni di vita rispettose dei diritti umani”, afferma Elisabetta Laganà, Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna.
Fatiscenza e incompatibilità con i diritti umani. Una situazione di estrema gravità, ampiamente denunciata da diverse associazioni, e su cui era già intervenuto il Garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna Desi Bruno.
Nonostante ciò, tutto era rimasto immutato. Fino a sabato scorso, quando due persone – un uomo e una donna di origini tunisine – si sono cucite le labbra in segno di protesta, come hanno già fatto altre persone, nel Centro di Bologna come in altri. Lui, ex detenuto in carcere, si chiede perchè sia stato trasferito presso il Cie. Lei, con problemi di salute, non riesce a comunicare con nessun operatore per l’assenza di un mediatore di lingua araba.
Secondo il Garante, “il profondo degrado che ha caratterizzato la struttura soprattutto negli ultimi mesi è la chiara risultante di gare effettuate al ribasso su questi centri, per i quali è inevitabile rivedere complessivamente la legislazione”. Un problema sottolineato anche dalla Cgil, per cui, in riferimento al Cie di Bologna, “la stessa gara d’appalto evidenziava una totale incongruità ed inadeguatezza già in origine, e ciò indica un problema che riguarda anche le scelte operate dal Ministero degli Interni”.
L’inadeguatezza dei criteri per la gestione della struttura ha dato origine a situazioni inumane per i cittadini trattenuti, e a condizioni lavorative estremamente precarie per le persone impiegate nel centro, che da diverso tempo organizzano scioperi a singhiozzo per protestare contro i ritardi con cui l’Oasi – la cooperativa che gestisce la struttura di Bologna e quella di Modena – corrisponde loro lo stipendio. Anche il sindacato di polizia è recentemente intervenuto, chiedendo la chiusura della struttura. E la neodeputata Pd Cecile Kyenge ricorda che “qualche mese fa era stata aperta una inchiesta in Procura sull’attribuzione del bando al Consorzio Oasi, che doveva verificare le condizioni offerte: condizioni che, oggi, ci paiono largamente disattese”. A titolo esemplificativo, la Cgil sottolinea che il sistema del massimo ribasso per la concessione degli appalti ha portato, nel Cie di Bologna, a passare da un costo giornaliero procapite di 75 euro a quello attuale di 28 euro e 50, “una cifra nemmeno sufficiente a garantire le retribuzioni”, come sottolineato nell’esposto.
Ora, la Cgil va oltre la richiesta di chiusura del Cie: con la presentazione dell’esposto, segnala “possibili profili di responsabilità e di violazione delle leggi”. Oltre alle problematiche legate appunto alle gare d’appalto, secondo il sindacato le condizioni in cui sono trattenuti i cittadini stranieri costituiscono la violazione di alcuni articoli del Testo Unico sull’immigrazione. Su questi punti, la Cgil ha chiesto un incontro al Procuratore, lamentando anche la mancata concessione del permesso per visitare la struttura.
Nel frattempo, le persone presenti all’interno del Cie di Bologna sono state trasferite in altre strutture. Il Garante starebbe valutando la situazione anche per comprendere se sono state assunte tutte le misure necessarie, affinché “l’invio in altre strutture non rechi alle persone trattenute disagi maggiori di quelli dovuti al semplice spostamento, e che siano fatte tutte le comunicazioni necessarie in riferimento alle condizioni di salute delle persone trasferite”.