A fine novembre, la Rai lancerà un nuovo reality, format che sembra avere una certa fortuna presso il grande pubblico. Ma questa volta la location non sarà una casa piena di telecamere o un’isola: il programma si terrà nei campi profughi in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo.
La trasmissione, ideata dalla Rai in collaborazione con l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e la Ong Intersos, si chiamerà The Mission. Sempre che vada in onda, dati i numerosi appelli per annullarla.
“La concessionaria del servizio radio televisivo pubblico intende intervenire per bloccare la produzione di un reality show lesivo della dignità delle persone? Quali sono le valutazioni rispetto al valore sociale, etico e politico della produzione di un reality show che spettacolarizza i drammi dei migranti?”, chiedono Gennaro Migliore, presidente dei deputati di Sel e capogruppo in Commissione Vigilanza Rai, e Nicola Fratoianni, componente della Commissione Cultura della Camera, in una interrogazione al presidente della Commissione Vigilanza Rai. Fa loro eco Vinicio Peluffo, capogruppo Pd della Commissione di Vigilanza Rai, che, in un’interrogazione depositata in Commissione, chiede un ripensamento “su un programma costruito sulla spettacolarizzazione del dolore”.
Le critiche non arrivano solo dal mondo politico: un 25enne ha lanciato una petizione sul sito Change.org, raccogliendo in pochi giorni più di 8mila firme. “Sono rimasto sorpreso e poi indignato nel sapere che la Rai aveva deciso di produrre insieme ad alcune importanti organizzazioni che si occupano di diritti umani un format del genere, che fa di tragedie umane come quelle dei rifugiati una spettacolarizzazione”, ha spiegato il giovane a Il Fatto Quotidiano.
Gli organizzatori invece difendono la scelta. Secondo l’Unhcr The Mission rappresenta “un’importante opportunità per far conoscere al grande pubblico il dramma di 45 milioni di persone nel mondo costrette ad abbandonare le proprie case”, e si dice “fiducioso che la Rai tratterà l’argomento con la massima sensibilità e delicatezza evitando ogni spettacolarizzazione”.
Anche per Intersos la trasmissione è un’occasione per dare visibilità alla tematica. Marco Rotelli, direttore della Ong, spiega sul sito dell’organizzazione: “Le polemiche erano inevitabili, ma la scelta di partecipare al programma è legata al bisogno di dare visibilità a un tema di cui poco si parla sui media di massa”. Rotelli spiega che la Ong ha attentamente valutato la possibilità di collaborare alla trasmissione, prima di accettare: “L’abbiamo valutata, considerata rischiosa per l’immagine dell’organizzazione, ma unica per il potenziale di diffusione che portava con sé. La causa ci è sembrata più importante dei rischi”.
E’ certamente importante dare visibilità alla tematica. Ma davvero il modo giusto è quello di mandare alcuni personaggi del mondo dello spettacolo, come ad esempio Albano e Michele Cuccuza, nei campi profughi? Cavalcare la spettacolarizzazione imperante del nostro tempo è davvero il modo più corretto per fare informazione sulla questione dei rifugiati? Sì, stando alle parole di Tullio Camiglieri, autore di “The Mission” insieme ad Antonio Azzalini. “Ci accusano di voler spettacolarizzare la situazione dei rifugiati, ma noi speriamo che ci sia questa spettacolarizzazione, perché così finalmente questo tema riuscirà a colpire l’opinione pubblica”, afferma Camiglieri.
Camiglieri spiega inoltre all’agenzia stampa Redattore Sociale che il programma è frutto di un lungo lavoro di ideazione, condiviso anche con l’allora portavoce dell’Unhcr e oggi residente della Camera, Laura Boldrini. La quale interviene oggi dalle pagine de La Repubblica, spiegando però di aver condiviso un’idea diversa del programma da realizzare. “Si ipotizzò una trasmissione che avesse l’obiettivo di rendere più comprensibile all’opinione pubblica la condizione vera dei rifugiati. In particolare fu da me suggerito un format australiano, molto apprezzato, in cui ad essere coinvolte erano le persone comuni, con idee molto diverse tra loro in tema di asilo, e comunque non certo vip. Si pensava a un’operazione di sensibilizzazione, non a un reality o qualcosa di analogo”, ha affermato la Presidente della Camera.
Quel che è vero è che “gli spazi di comunicazione sul tema dei rifugiati in Italia sono praticamente inesistenti”, come ricordato anche dal direttore del Consiglio italiano per i rifugiati Christopher Hein. Certo però che “il rischio di strumentalizzazione”, di cui parla Hein, è dietro l’angolo.
“Crediamo che si dovrebbe lavorare a cambiare il modo in cui i media comunicano il sociale e il tema delle migrazioni forzate –ha aggiunto il direttore del Cir -non abbassare il livello del modello di comunicazione per trovare spazi”.
La trasmissione andrà forse in onda a novembre, quindi nessuno l’ha ancora potuta vedere, cosa che sarebbe utile per poter avanzare dei giudizi. Certo, è piuttosto sconfortante che, per informare in merito a una tematica così importante, si debbano cavalcare dei modelli comunicativi e televisivi che hanno ben poco di informativo, e che si basano esclusivamente sulla mera spettacolarizzazione.