Alcune testate giornalistiche, spinte dalla concitazione del momento e complice un errore del Ministero dell’Interno nel caricamento dei dati relativi all’ultimo mese – secondo i quali la concessione della protezione umanitaria sembrava essere passata nel giro di in un solo mese dal 2 al 28%, – hanno diffuso nei giorni scorsi dati e statistiche inesatte, che hanno fatto fin troppo esultare alcuni e tremendamente preoccupare altri. A seguito della correzione del Viminale, dobbiamo purtroppo ancora una volta attestare che i permessi per motivi umanitari rilasciati nel mese di febbraio rimangono intorno al 2%. Per essere più precisi, delle 6.274 domande di asilo esaminate il mese scorso, solo 630, il 10%, hanno portato al riconoscimento dello status di rifugiato, 356, il 6%, al rilascio della protezione sussidiaria e 112, appunto il 2%, al riconoscimento della protezione umanitaria. I dinieghi rappresentano ben l’82% delle decisioni adottate (i dati in questione sono disponibili qui).
Come noto, tra le maggiori novità apportate dal decreto Salvini (D. L. 4 ottobre 2018, n. 113) vi è la cancellazione della c.d. protezione umanitaria, istituto giuridico a carattere nazionale, ma previsto anche in ambito europeo (sebbene con modalità differenti a seconda degli Stati).
La protezione umanitaria era stata introdotta nel 1998 per riferirsi al cittadino straniero in senso ampio, e poi, a partire dalla c.d. legge Bossi-Fini (e in particolare dal 2004, anno in cui le Commissioni Territoriali divengono pienamente operative e la competenza a decidere sulla sua concessione passa prevalentemente a queste), applicato principalmente al diritto di asilo. Tale strumento prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che, pur non avendo i requisiti per ottenere la protezione internazionale, non potevano comunque essere espulsi per seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali.
Grazie alla protezione umanitaria sono state nel tempo tutelate una serie di situazioni (che andavano dall’integrazione sociale nel periodo di attesa dell’esito della domanda di protezione internazionale, alla necessità di cure dello straniero, alle violenze di vario genere alle quali gli stessi erano stati sottoposti nel Paese di origine, o nei Paesi di transito, prima di giungere in Italia e molte altre) legate più alla condizione personale del richiedente che a quella oggettiva del Paese di provenienza.
Ricordiamo che già con la Circolare n. prot. 0008819 del 4 luglio 2018, peraltro ampiamente criticata, il Ministro dell’Interno aveva in qualche modo anticipato l’eliminazione della protezione umanitaria, richiamando le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ad una “necessaria rigorosità dell’esame delle circostanze di vulnerabilità degne di tutela”, sostenendo che fino a quel momento le concessioni fossero state troppe.
Con l’entrata in vigore del decreto, convertito in legge il 1° dicembre di quest’anno, le concessioni di protezione umanitaria hanno poi registrato un calo repentino (passando dal 28% di febbraio 2018 al 2% attuale).
Al posto del permesso di soggiorno per motivi umanitari il decreto Salvini ha introdotto altre tipologie di permesso di soggiorno che non sono ritenute sufficienti a proteggere tutte le situazioni meritevoli di tutela, individuate nel tempo. Non sono pochi gli studi e le testimonianze che hanno dimostrato un aumento sproporzionato e maggiormente difficile da gestire dei casi di status incerto e del numero di presenze irregolari sul territorio, con conseguenti ricadute in materia di violazioni dei diritti umani, esclusione sociale e aggravio in materia di spesa e di sicurezza collettiva per le realtà direttamente coinvolte.
Un importante passo, che si ritiene possa dare avvio ad una (se pur) parziale inversione di tendenza, è stato fatto con la sentenza del 19 febbraio della Corte di Cassazione che ha confermato l’applicazione del principio generale di irretroattività anche per le disposizioni contenute nel nuovo decreto, accogliendo l’orientamento di diversi tribunali minori. I giudici hanno riconosciuto quindi la possibilità, a coloro che hanno fatto domanda di asilo prima dell’entrata in vigore del decreto, di vedersi riconosciuta la protezione umanitaria, secondo le disposizioni della normativa previgente, mentre tale tipo di protezione non potrà comunque essere riconosciuta a coloro che hanno fatto domanda di asilo dopo il 5 ottobre 2018.
La portata della sentenza va ricondotta non solo all’autorevolezza della Corte, ma anche al fatto che la grande maggioranza delle domande di protezione (che a causa dei tempi eccessivamente lunghi risultano ancora in pendenza) sono state effettivamente presentate prima di questa data. In effetti è lo stesso Ministero a riconoscere che gli sbarchi in Italia sono diminuiti di più del 90% nell’ultimo anno rispetto ai due precedenti. Inoltre la sentenza avrà effetti non soltanto sulla protezione umanitaria, ma anche sul diritto all’accoglienza prevista per chi ne beneficia.
Proprio sul tema dell’accoglienza Asgi-sezione Basilicata e LasciateCIEntrare hanno presentato ricorso presso il TAR della Basilicata, il quale con le sentenze nn. 274/2019 e 275/2019 dell’11 marzo scorso ha previsto la riapertura delle misure di accoglienza per due titolari di protezione umanitaria.
Ancora una volta la buona applicazione delle leggi è rimessa nelle mani dei giudici, i quali, si spera, facciano nel tempo valere la più ampia tutela del diritto di asilo prevista dall’art. 10 della nostra Costituzione.