Due vite spezzate. Lo stesso triste destino. Due morti violente consumatesi lontano da casa e dagli affetti. Sono le storie di due cittadini nigeriani che da invisibili sono passati sotto i riflettori proprio a causa della loro prematura scomparsa. E fa rabbia che due persone diventino tali, e quindi degne di considerazione, soltanto da morte. Ed è ancora più disgustoso che nel nome di un paese più “sicuro”, si debba passare attraverso queste tragedie.
Prince Jerry, era arrivato in Italia nel 2016, anche lui su quei maledetti barconi, con una laurea in chimica e la voglia di ricostruirsi un futuro. Ospite del centro d’accoglienza di Multedo (Genova), si è ucciso gettandosi sotto un treno lunedì a Tortona. A dare la notizia è stato monsignor Giacomo Martino, responsabile della Fondazione Migrantes di Genova, attraverso un messaggio in chat ai propri parrocchiani. Il testo della conversazione è poi circolato sui social ed è stato successivamente ripreso oggi da tutti i quotidiani, con una insistenza quasi fastidiosa e poco rispettosa di questo lutto. Don Giacomo, intervistato da molti quotidiani, lo ricorda come “un ragazzo speciale e straordinario, molto sensibile e anche colto”. Faceva parte della sua comunità da due anni e mezzo. Dopo essere stato “diniegato” prima di Natale, ha scoperto che non avrebbe potuto contare neppure sul permesso per motivi umanitari, cancellato dalla nuova legge in materia di immigrazione e sicurezza. Impossibile per lui restare “regolarmente” in Italia, a meno di non andare ad infoltire il grande numero di persone senza documenti che quella stessa legge sta producendo, e che pure, secondo chi l’ha ideata, voleva “combattere”. Prince lunedì mattina ha, quindi, raggiunto Tortona, ha fatto un’ultima telefonata ai suoi amici e poi si è gettato sui binari: il macchinista non ha potuto evitare di investirlo. Il gesto è stato compiuto con determinazione, dopo settimane di amarezza e riflessioni (e forse anche di disperazione) su un futuro incerto.
A riconoscere il corpo di Prince è stato proprio monsignor Martino, che ha voluto chiarire da subito di non voler «in nessun modo che questo ragazzo e la sua triste storia vengano strumentalizzate per discorsi diversi da quelli di compassione per una vita stroncata e di un lungo sogno interrotto». La Polfer ha avviato un’indagine per ricostruire cosa sia esattamente accaduto: l’ultimo saluto a Prince Jerry verrà dato, domani, venerdì 1 febbraio, alle 11.30 nella chiesa dell’Annunziata a Genova.
Non molto lontano dal luogo della morte di Prince Jerry, sempre lungo dei binari, ha trovato la morte un altro giovane migrante, nigeriano anche lui, 33 anni, Ifeanyi Amaefula. Lui è deceduto nell’ottobre 2018, dopo essersi gettato dal treno in corsa sulla linea Chivasso-Novara. Era arrivato a Lampedusa nel 2011. E, ironia della sorte, aveva un permesso di soggiorno per motivi umanitari (quello che Jerry non avrebbe mai potuto avere). L’uomo era salito a Santhià, con sé aveva uno zaino ma nessun biglietto di viaggio. Secondo la ricostruzione dei fatti, si era diretto nella prima carrozza. Quando ha visto la pattuglia di agenti della Polfer di Novara, in servizio a bordo, è saltato sui sedili fino ad aprire un finestrino, lanciandosi fuori. Gli agenti hanno provato anche a tenerlo per le gambe, ma l’uomo, poco dopo la stazione di San Germano, è caduto. Tuttavia, la sua morte non ha suscitato molto clamore. Probabilmente perché non interessava. Anzi ha fatto più notizia il commento di una dipendente delle ferrovie, che lavora all’ufficio dirigenti in movimento della stazione di Santhià (Vercelli), la quale aveva commentato così l’incidente: “Meglio che si sia ucciso uno così, che un’altra persona”.
La salma del giovane migrante è rimasta per quattro mesi all’obitorio, in una cella frigorifero, “incastrata” in un triste gioco di scaricabarile di competenze da ente a ente, ostaggio di politica e burocrazia. Il primo “no” è giunto proprio dal sindaco di San Germano Vercellese, Michela Rosetta, che non avendo chiesto uffiComune di Bergamcialmente e di suo pugno la rimozione del cadavere, ha respinto al mittente la fattura inviata dall’agenzia funebre che la richiesta di celebrare il “funerale di carità”. Una richiesta che, invece, il Comune di Bergamo ha accettato, pur essendo coinvolto in modo marginale come ultima residenza del migrante, in quel momento senza una fissa dimora. In una nota ufficiale, il Comune di Vercelli ha annunciato la soluzione del problema grazie alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Bergamo.
A sollevare il caso la scorsa settimana, è stato i quotidiano locale Notizia Oggi Vercelli. A poche ore dall’uscita dell’articolo, è iniziata una vera e propria gara di solidarietà. Il Consigliere Regionale Gabriele Molinari si era offerto di pagare personalmente i funerali del ragazzo, eventualmente in collaborazione con chi lo avesse desiderato. E non è stato l’unico.
Non conosciamo le storie di questi due ragazzi, il loro vissuto e le loro sofferenze e, soprattutto, perché le loro giovani vite siano finite così. Sappiamo però per certo che ogni lutto necessita i suoi silenzi, e che ad ogni persona deve essere riconosciuta la sua dignità in vita e non dopo la morte. E’ una questione di civiltà e di umanità. Valori che ultimamente stiamo perdendo (come nella vicenda dei migranti a bordo della Sea Watch 3), virando pericolosamente verso orizzonti oscuri.