Ventinove persone di cittadinanza eritrea, trasferite lo scorso 26 marzo da Lampedusa a Cabras, in Sardegna, hanno abbandonato la struttura che li “ospitava”. Nel dare la notizia, L’Unione Sarda titola “Profughi eritrei se ne vanno senza salutare”.
Leggendo l’articolo, veniamo a conoscenza del fatto che “da quando sono arrivati non hanno mai smesso di dire che volevano raggiungere i parenti in Norvegia”, che “hanno sempre raccontato di non voler rimanere in Italia né registrare la loro presenza alle autorità per non condizionare il ricongiungimento con i familiari residenti in un altro stato europeo”.
Le persone che hanno lasciato la struttura arrivano dall’Eritrea, un paese dalla situazione “tesa e potenzialmente volatile” – come ci dice il sito ministeriale viaggiaresicuri.it- dove “la crescente povertà e l’incremento dell’inflazione nel Paese hanno determinato un certo aumento della criminalità comune”, in cui “mantenere elevata la soglia di attenzione in considerazione di un possibile rischio di atti di natura terroristica”.
Per provare a vivere in condizioni più sicure, hanno affrontato un viaggio impegnativo, costoso e pericoloso, arrivando in Italia. Che non è il loro obiettivo: hanno dei parenti in Norvegia, ed è li che vogliono andare. La normativa europea però rende tutto più complesso: se facessero richiesta di asilo qui, infatti, non potrebbero poi spostarsi, dovendo rimanere nel paese in cui hanno presentato domanda. Per ovviare a questo inconveniente, queste persone hanno deciso di lasciare la struttura in cui erano state trasferite in modo coatto, e raggiungere i propri parenti.
Una situazione condivisa da molte persone: abbiamo assistito diverse volte al rifiuto di lasciare le proprie impronte digitali, così come ci sono state altre “fughe”. Poco tempo fa circolava in rete un video dove si vedevano alcune giovani ragazze eritree, minorenni, rintracciate in strada dagli operatori della struttura in cui erano state trasferite, mentre tentavano, in pigiama, di scappare.
Siamo di fronte, crediamo, al legittimo tentativo delle persone di autodeterminare la propria vita e di raggiungere i propri familiari. Persone che si trovano in condizioni estremamente precarie e difficili. Titoli come quello de L’Unione Sarda rischiano di non informare né analizzare, ma solo banalizzare una situazione estremamente complessa.
Perché queste persone hanno deciso di raggiungere l’Europa? Perché hanno sempre ripetuto di non voler stare in Italia? Perché sono letteralmente scappate “con solo gli abiti che avevano addosso”? Tutte domande a cui L’Unione Sarda non solo non da risposte, ma che nemmeno si pone. L’unica cosa che conta, è che queste persone “se ne vanno senza salutare”. Strano, visto che “non hanno mai creato problemi, sempre molto gentili e rispettosi”.
Non riusciamo a non pensare a quanto scritto da Alessio Bellini poco tempo fa proprio su queste pagine: nella stampa quotidiana è più facile sviare l’attenzione dai temi più seri, che “far sentire cosa pensano quei disturbatori della quiete”. “Viene a mente – come scriveva Bellini – il fardello dell’uomo bianco, che è affare che piega la schiena: doversi preoccupare del ‘Marocco profondo’ (in questo caso dei profughi eritrei) senza neppure ricevere un grazie. Questi ‘negri’ sono proprio irriconoscenti”.