di Virginia Valente
Negli ultimi giorni la campagna per la modifica della legge sulla cittadinanza “L’Italia sono anch’io” e le timide “aperture” dell’attuale governo devono aver fatto breccia nel muro che separa le persone coinvolte, a vario titolo, nella questione e coloro che ritenendosi dei “guru” si sentono obbligati a dire la loro su qualsiasi argomento anche quando non è loro richiesto e neanche conoscono bene l’argomento. Stiamo parlando ovviamente delle prese di posizione sulla questione della cittadinanza agli immigrati e, soprattutto, ai loro figli che immigrati non sono, da parte del comico politicante Beppe Grillo e del politologo involontariamente comico Giovanni Sartori. Proviamo a fornire qualche piccola informazione sulla situazione attuale.
La cittadinanza italiana è regolata dalla legge 91 del 5 febbraio 1992 ed il riconoscimento della stessa prevede una serie di ipotesi che si ispirano allo “ius sanguinis”, vale a dire al diritto di sangue, per discendenza in linea retta da cittadini italiani. All’art. 9 della legge si prevede la concessione, ed è questo il punto, non il riconoscimento di un diritto, della cittadinanza per residenza. La norma prevede che il cittadino straniero residente, non semplicemente soggiornante, in Italia da dieci anni possa far richiesta di concessione della cittadinanza italiana che avverrà con decreto del Presidente della Repubblica. Il periodo di residenza richiesto è di cinque anni per i rifugiati e gli apolidi e in tutti i casi deve essere ininterrotto, non possono esserci periodi, seppure brevi, d’interruzione, nell’iscrizione anagrafica in un comune italiano.
Ai sensi dell’art. 4 comma 2 della stessa legge la persona che nasce in Italia da genitori non cittadini italiani può scegliere la cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore età, fino a quel momento è costretto a seguire la cittadinanza dei genitori. Anche in questo caso deve dimostrare di essere stata ininterrottamente in Italia per diciotto anni e, presupposto essenziale, i genitori devono essere stati legalmente presenti sul territorio nazionale al momento della sua nascita.
Un’altra ipotesi di concessione della cittadinanza è quella prevista dall’art. 5 comma 1, per matrimonio con cittadino/a e può essere richiesta dopo due anni di residenza sul territorio o, nel caso in cui dal matrimonio siano nati dei figli, dopo un anno di residenza. Il periodo di residenza richiesto è stato portato da sei mesi a due anni e a un anno, a seconda dei casi suddetti, dalla modifica intervenuta con la legge 94 del 15/07/2009, il cosiddetto “pacchetto sicurezza”.
Il requisito della residenza ininterrotta è l’aspetto che rende problematica la procedura di concessione della cittadinanza, precisamente la dimostrazione della non interruzione. I problemi nascono dal fatto che molte persone e soprattutto quelle straniere, cambiano spesso abitazione anche perché abitano solitamente in case in affitto, considerando che, nella maggior parte dei casi, chi vive in case di proprietà le ha ereditate o ha potuto avere più facile accesso ai mutui per comprarle e tutto questo per gli stranieri è abbastanza difficile. Gli stranieri sono quindi costretti ad una mobilità abitativa non soltanto perché stando in case in affitto sono spesso costretti a cambiare abitazione, ma anche per via di un’altrettanto elevata mobilità sul lavoro che li costringe anche a cambiare località. Nel corso di questi spostamenti e cambi di residenza avvengono spesso dei brevi periodi di cancellazione dall’anagrafe e quindi, ai fini del computo degli anni di residenza, questa può presentare delle interruzioni. Questo vuol dire che, per esempio, i dieci anni di residenza dovranno decorrere a partire dalla reiscrizione nell’anagrafe. Anche per i ragazzi nati in Italia che, dopo il compimento del diciottesimo anno d’età, intendono optare per la cittadinanza italiana, un eventuale “buco” nella residenza può costituire motivo di rifiuto della stessa. I casi in cui emergono periodi, seppure brevi, di difficoltà nella dimostrazione della permanenza ininterrotta sul territorio, sono molto frequenti come pure quelli in cui la madre non risulta regolarmente presente sul territorio al momento della loro nascita. E’ molto traumatico per i ragazzi nati, cresciuti ed educati in Italia e che si sentono di appartenere al paese e che, a volte, non hanno alcun legame con i paesi d’origine dei loro genitori, essere “rifiutati” dalle sue istituzioni.
Un altro aspetto problematico riguarda la durata della procedura di concessione della cittadinanza per residenza che, per legge, è stabilita in due anni ma, di fatto, ha una durata molto più lunga che ha una media di tre anni e può raggiungere anche i cinque anni. La durata è dovuta al fatto che, al termine dell’istruttoria del procedimento, la concessione è sottoposta ai vari pareri degli uffici coinvolti, la Prefettura e la Questura competenti per territorio e quello, essenziale, dei Servizi d’Intelligence. Accade frequentemente che al termine della procedura al richiedente viene notificato il rigetto dell’istanza per motivi non espliciti ma che fanno riferimento ad una nota concernente la sicurezza nazionale. Nel caso in cui il richiedente proponga ricorso avverso il rifiuto di concessione della cittadinanza è estremamente difficile che in sede giurisdizionale emergano chiarimenti su che cosa possa aver generato il parere negativo. Il rifiuto motivato dalla nota “oscura” è opposto il più delle volte a cittadini provenienti da paesi la cui popolazione è a maggioranza musulmana, indipendentemente da eventuali responsabilità individuali dei richiedenti e questo la dice lunga sui criteri adottati per concedere o rifiutare la cittadinanza.
Quello che possiamo auspicare è che oltre alla modifica legislativa che s’ispiri allo “ius soli” e non soltanto allo “ius sanguinis” (come sarà il “sangue italiano”?), siano semplificate anche le procedure e che gli allarmismi sollevati da persone che vivono in un mondo separato dal resto della società siano “sensatamente” ignorati.
Leggi le schede sintetiche sulle procedure per richiedere ed ottenere la cittadinanza in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito.