La faccia violenta dell’immigrazione. Si aprirà così, domani, il settimanale Panorama, con una copertina composta dai volti di tanti presunti immigrati, a occhi coperti (qui l’anteprima). Il periodico ha fatto una scelta precisa, specificandola peraltro nel sottotitolo: “Anche l’Italia ha vissuto il suo Capodanno di terrore. E un terzo dei reati è commesso da stranieri. A questo è dedicata la copertina di Panorama in edicola il 14 Gennaio”. Sull’onda lunga dei fatti di Colonia, la rivista ripropone un binomio mai abbandonato da media e politici nostrani: criminalità e immigrazione. A nulla servono i dati: come ad esempio quelli diffusi dal Ministero della Giustizia al 31 dicembre 2015, e ripresi dalla Fondazione Leone Moressa, che parlano di un calo dei detenuti stranieri rispetto al totale della popolazione carceraria: “i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane sono 17.340, ovvero un terzo della popolazione carceraria complessiva. Sono diminuiti dello 0,7% nell’ultimo anno e del 30,5% negli ultimi cinque anni”, sottolinea la Fondazione. Un calo notevole, ancor più se si considera che, di contro, negli ultimi anni gli arrivi sono aumentati, in particolare per quanto riguarda i migranti forzati, come ricordato recentemente dall’Unhcr.
Ma sembra evidente – almeno stando alla scelta della copertina di Panorama – che più che tracciare un quadro della situazione, l’obiettivo sia suscitare una sensazione: di ansia, pericolo, terrore appunto, come suggerisce il sottotitolo del settimanale.
Dopo i gravissimi fatti avvenuti a Colonia la notte di Capodanno, sono stati diversi i commenti: alcuni hanno indicato nei cittadini di origine straniera un problema di ordine pubblico, additando genericamente tutti i migranti come pericoli sociali, attentatori delle libertà occidentali, in particolare della donna, e portatori di arretratezze culturali ascrivibili a società arcaiche e tribali (citiamo, tra gli altri, l’editoriale del direttore de La Stampa Maurizio Molinari). Altri, e altre in particolare, hanno fatto notare come la questione sia da inserire in una più ampia e generale “questione di genere”, di parità e rispetto per le donne in tutti gli ambiti della vita e della quotidianità. Elementi che mancano anche negli stati europei e nelle società occidentali, come ha fatto notare, tra gli altri, Loredana Lipperini (in un intervento che segnaliamo qui). “Sappiamo che non tutti sono uguali”, conclude la Lipperini nel proprio commento, attualizzando memorie di famiglia. Una frase che facciamo nostra, da sempre: generalizzare interi gruppi sociali non aiuta la vera comprensione del reale, ma ne fornisce solo una grossolana semplificazione. E, considerando il contesto attuale, può fomentare diffidenze e divisioni. Un meccanismo che rischia di diventare pericoloso: dodici persone di origine straniera sono state ferite in una serie di aggressioni organizzate a Colonia da alcuni gruppi xenofobi.
Quanto successo a Colonia, lo ripetiamo, è estremamente grave. Ma l’innalzamento di una barriera tra diversi gruppi sociali -cittadini “autoctoni” da una parte e migranti dall’altra – non rappresenta alcuna soluzione, anzi rischia di creare una spirale di aggressività e diffidenza che potrebbe portare solo a un peggioramento dello status quo. Dovrebbe piuttosto far riflettere il fatto che molti commenti politici e mediatici si siano focalizzati sulla presenza migrante: che fine hanno fatto le vittime degli attacchi? La voce e le rivendicazioni delle donne – come quelle delle manifestanti che dopo le aggressioni di Colonia sono scese in piazza scandendo lo slogan “né sessismo, né razzismo” – sono state soffocate da chi parla di espulsioni, di differenze culturali, di generalizzata delinquenza dei migranti. Ma la creazione di muri non ha mai aiutato alcun processo di conoscenza, comprensione e rispetto reciproci. Che siano muri concreti – come quelli che si stanno costruendo tra i paesi europei -, o ideologici, come quelli creati da chi divide le persone utilizzando rigide categorie e cavalcando pregiudizi.
Serena Chiodo