La notizia
Il 23 luglio, l’agenzia di stampa Redattore sociale, fonte seria e autorevole, ha pubblicato un articolo dal titolo “Trattati come animali”: la denuncia dei profughi nel casolare diroccato”.
Vi si dava conto limpidamente di una situazione molto critica, in una frazione di Castelfiorentino (FI): 36 richiedenti asilo “ospitati” in un casolare fatiscente, lontano dal centro abitato, con due bagni (più due bagni chimici posizionati fuori, al sole) e due docce in un locale inadatto, senza alcun rispetto della privacy. Intervistati dal giornalista, i migranti dicono di essere pressoché abbandonati da circa un mese, senza informazioni né prospettive, senza assistenza e privi della possibilità, prevista di norma, di comunicare tramite telefoni cellulari; alcuni sono scalzi, altri sostengono di avere ancora addosso gli abiti con cui hanno attraversato il Mediterraneo. L’agenzia non omette di aggiungere alcune dichiarazioni del presidente dell’ente gestore, il Consorzio Mc Multicons, che sostanzialmente non oppongono nulla di serio a quanto risulta dall’articolo; al contrario, a parte l’affermazione secondo cui i migranti non hanno le scarpe perché non le hanno volute, vi si parla solo al futuro, promettendo interventi che non sono stati fatti per almeno un mese. “La prefettura, sostiene il Consorzio, ci ha mandato i profughi prima ancora che avessimo la possibilità di adeguare la struttura”. Risulta che in altri centri della zona la Prefettura ha concordato con gli enti gestori (e soprattutto con le Amministrazioni comunali che se ne son fatti garanti) ritardi, anche superiori a un mese, nell’attesa di ristrutturazioni promesse, avviate celermente e rapidamente realizzate. Perché in questo caso no?
Sembrerebbe una delle tante segnalazioni su inadempienze, ritardi, mancato rispetto dei diritti, commessi col pretesto di un’emergenza che permette assegnazioni dirette, deroghe, mancanza di trasparenza. Ma la situazione è un po’ più complessa, e soprattutto è emblematica, perché permette di comprendere alcuni dei grovigli che in questi casi impediscono un buon intervento di accoglienza, ben al di là del caso di Castelfiorentino.
La propaganda mette in luce l’inadeguatezza di chi la usa
Il Consorzio che gestisce il Centro di Meleto, la Multicons MC, originariamente si occupava di giardinaggio, logistica, pulizie, disinfestazione, vigilanza e smaltimento rifiuti, e il suo nome è ben noto nella zona per una brutta storia che ha coinvolto decine di lavoratori (leggi qui e qui).
Invitiamo il lettore ad avviare ricerche su internet su tale consorzio; troverà un’attività infaticabile dell’addetto stampa, fatta di comunicati agiografici, pubblicati tali e quali dalla stampa locale, secondo un vezzo sempre più diffuso, che spaccia la propaganda per informazione. La maggior parte di tali comunicati mette in scena un ruolo da benefattore sociale del presidente del consorzio; il lettore si renderà conto da solo della qualità di tali comunicati.
Anche in quest’ultimo caso l’ufficio stampa del Consorzio ha girato ai quotidiani locali un comunicato, e anche questa volta viene riportato senza verifiche o riflessioni (leggi qui): al lettore di “Cronache” non sfuggirà il linguaggio di plastica, tra location e screenings, una patina di brillantini a nascondere il vuoto etico e culturale. Non sfuggano il vittimismo minaccioso sulla strumentalizzazione delle uniche notizie non propagandistiche che sono filtrate, e l’ossessiva inferiorizzazione degli ospiti del centro:
“Siamo dovuti partire dalle basi: dall’utilizzo di forchette e coltelli, alle regole della raccolta differenziata, dall’educazione ad indossare magliette e scarpe alle regole per lavarsi e utilizzare servizi igienici e docce”.
Un’espressione simile mostra un disprezzo totale nei confronti degli ospiti del centro; e rivela, nella sua retorica -tipica del discorso colonialista-, la mentalità di chi scrive. Ed è così smaccatamente grottesca, da suonare come una provocazione. Possibile che un ufficio stampa non immagini che, accanto a parte dei lettori consenzienti rispetto a tali perle colonialiste, ce ne siano altri, e non pochi, che si rendono subito conto della volgarità dell’enunciato?
A queste mani la Prefettura di Firenze ha affidato la dignità di 36 persone; in assenza di un minimo di giornalismo degno di questo nome, soppiantato da comunicati stampa interessati e grotteschi, e lontano dalla vista di chiunque, viene a mancare ogni controllo democratico sui modi della spesa pubblica e sul rispetto minimo della dignità degli esseri umani mal capitati.
Foto inequivocabili
Nel frattempo il Consigliere comunale di Castelfiorentino che ha spedito una lettera in prefettura, corredata di alcune fotografie che mostrano inequivocabilmente la situazione, ha ricevuto una email dell’avvocato del Consorzio, con una diffida, in nome dell’infrazione al rispetto della proprietà privata: e dal giorno dell’articolo di “Redattore sociale” è montata la guardia contro cittadini che vogliano rendersi conto delle condizioni degli ospiti del Centro.
Le foto in questione, che per fortuna, insieme a quelle di “Redattore sociale”, documentano le condizioni umilianti della cosiddetta accoglienza, sono state prese il 14 luglio, una ventina di giorni dopo l’arrivo al centro dei 36 richiedenti asilo.
Il Comune: tutto bene, che meraviglia di accoglienza! E presto lavoreranno per noi!
Quattro giorni prima, sollecitati anche da prese di posizione preoccupate di cittadini, due assessori e una consigliera comunale, con delega alla legalità, si erano recati in visita al Centro. E perciò ecco un altro comunicato stampa (leggi qui), carente sul piano sintattico, ma è il difetto minore. Non c’è alcuna traccia di un possibile disagio dei giovani “accolti”; si ribadisce con ostinazione, invece, la volontà di firmare “entro pochi giorni” un patto di reciprocità. In altre parole, il Comune spinge perché lavorino persone che negli stessi giorni dichiaravano ai cittadini che ci hanno parlato di non avere idea di quali diritti avessero.
Tale volontà è ribadita in un titolo sulla “Nazione” del 13 luglio: Comune fa un patto con gli immigrati. “Noi vi diamo un letto, voi lavorate”. Si noti nella frase virgolettata, attribuita all’assessore Tafi (e non smentita dall’interessato), il millantato credito (quelli del Comune non stanno neanche a guardare se c’è l’acqua corrente, e il letto glielo dà lo Stato) e la contrapposizione “noi/voi”, che entra a far parte del filo disumanizzante che percorre ogni immagine offerta qui dei migranti. Viene attribuito ad alcuni di questi selvaggi, capaci secondo uno stereotipo secolare solo di orribili favelle, un “inglese rudimentale”: è notorio che nel Consiglio Comunale di Castelfiorentino la discussione si svolge in un perfetto inglese con accento oxoniense.
Nel comunicato gli ignobili e insufficienti cessi e le due docce vengono definiti “servizi (con le docce)”.
I casi sono due: o i tre amministratori hanno simili servizi a casa loro, e non ci hanno fatto caso, oppure pensano che vadano bene così, per i 36 accolti “per loro è anche troppo”: del resto, l’abbiamo sentito dire nelle ultime settimane, e a troppe persone dedite alla cosiddetta accoglienza in Centri come questo.
Noi civili, loro responsabili di eventuali disagi
Questo, al di là degli altri elementi costernanti messi in luce, è ciò che più preoccupa. La costruzione sociale disumanizzante del richiedente asilo sta avvenendo con una velocità e una sistematicità sconvolgenti. Ben prima dei gruppi e delle borgate che vengono istigate al pogrom, Agenzie che prendono in gestione i Centri (non tutte), Prefetture (non sempre), Amministrazioni (in numero crescente), quotidiani su carta e online (quasi senza eccezioni) stanno costruendo un “noi” cinico e incapace di dignità, e un “loro” deietto, cui attribuire ogni eventuale problema di convivenza e da abbandonare al senso comune, e prima o poi agli attacchi fisici, di chi si abbevera a tale costruzione sociale.
Come si sarà notato, nel comunicato del Comune di Castelfiorentino si dice che non ci sono problemi, e che se ce ne fossero sarebbero da attribuire a loro, alla loro confusa pluralità, cui uno stereotipo secolare attribuisce una prossimità ai disegni diabolici, e quindi al conflitto anche interno (diverse bande / diversi han riti ed abiti e favelle scriveva Tasso, succubo come l’assessore Tafi di tale retorica): “Nonostante la loro provenienza sia quanto mai diversificata (da vari paesi dell’Africa subsahariana e non) a cui si deve aggiungere la presenza di fedi religiose diverse (dai cristiani ortodossi ai musulmani) i migranti non hanno finora avuto alcun problema di convivenza”.
Ogni altro possibile elemento di disagio è escluso preventivamente. La prefettura, il comune, i cittadini possono dormire sonni tranquilli: noi sappiamo come fare a riconoscere la loro dignità, e dopo un mese li portiamo, come dice il comunicato stampa di Multicons, a mangiare una pizza a una festa dell’Unità; il fatto che non sia stato trovato altro esempio per mettere in scena il nostro rispetto della loro dignità è eloquente.
Noi chi?
A questo “noi” non apparteniamo, per chi sbandiera questo “noi” ci vergogniamo. E siamo convinti più che mai che su questa frontiera si giochi molto dell’ethos di questo sventurato paese. Quanto al Circondario Empolese-Valdelsa, al suo associazionismo e alle sue amministrazioni, protagoniste negli anni 90 di un discorso pubblico attento e rispettoso nei confronti dei nuovi arrivati, lo squallore di queste prove di propaganda e la regressione al peggior linguaggio colonialista è un sintomo rivelativo della perdita di una tradizione di accoglienza: che va reinterpretata, rattoppata e rilanciata, nonostante le recenti prove infelici di certe agenzie e di certe amministrazioni.