Da Strasburgo arriva una sentenza storica: il nostro paese è stato condannato all’unanimità per i cosiddetti “respingimenti” verso la Libia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani (trattamenti degradanti e la tortura), l’articolo 4 del Protocollo 4 (interdizione di espulsioni collettive di cittadini stranieri) e l’articolo 13. Secondo la Corte, i migranti sono stati oggetto di una “espulsione collettiva”, oltre che esposti ad un altissimo rischio di maltrattamenti. L’Italia dovrà versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime (si tratta di 11 cittadini somali e 13 eritrei). La sentenza fa riferimento al cosiddetto caso Hirsi Jamaa e altri del 6 maggio 2009, quando, a circa 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali, le autorità italiane avevano intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti vennero trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere in alcun modo identificati, né ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione, e senza avere alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. La maggior parte di loro è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici, dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Purtroppo, in attesa della sentenza, due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l’Italia a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Resta, tuttavia, nonostante l’importante sentenza, la preoccupazione per il fatto che l’Italia abbia ancora attivo il trattato bilaterale con l’attuale Governo libico, che le permette di non rinunciare formalmente alla pratica dei “respingimenti”.