La Corte di giustizia dell’UE, con sentenza pubblicata nella giornata di ieri, ha chiarito alcuni aspetti interpretativi, alla luce della disciplina europea, del principio internazionalmente riconosciuto di non refoulement. La Corte ha stabilito che “nessuno Stato può disporre l’espulsione o il respingimento in nessun modo di un rifugiato verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione o possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” (art. 33 Convenzione di Ginevra).
Lo ha fatto, pronunciandosi circa la conformità di alcune disposizioni della direttiva 2011/95/UE su istanza presentata dalla Corte suprema amministrativa della Repubblica Ceca e del Consiglio per il contenzioso degli stranieri del Belgio, riguardo alcuni casi di revoca o di rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato, nei confronti di individui soggetti a condanna per reati particolarmente gravi o rappresentanti una minaccia per la comunità.
Dalla sentenza si deduce che, pur restando valide le disposizioni previste dall’appena citata direttiva europea e pur nell’impossibilità di invocare l’art. 33 della Convenzione di Ginevra da parte di quei rifugiati considerati quali minaccia per la sicurezza dello Stato in cui questi si trovano, la decisione di revocare o rifiutare il riconoscimento dello status di rifugiato, “a prescindere dal fatto che questo sia formalmente riconosciuto o meno”, non produce l’effetto di privare una persona dei diritti che la stessa Convenzione ricollega allo stesso.
“Infatti” dicono i giudici “la circostanza che l’interessato rientri in una delle ipotesi previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 non significa che questo cessi di rispondere ai requisiti materiali da cui dipende la qualità di rifugiato, relativi all’esistenza di un fondato timore di persecuzioni nel suo paese d’origine”. Come più volte ribadito in via giurisprudenziale, il riconoscimento dello status di rifugiato non è costitutivo ma di mero accertamento di una situazione di timore di essere perseguitato per motivi di “razza”, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, non avendo la possibilità di avvalersi della protezione del proprio Paese di origine.
Tale previsione, secondo i giudici di Lussemburgo, va peraltro interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la quale non solo accoglie il principio di non refoulement, ma vieta in maniera assoluta la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, e quindi l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere (artt. 4 e 19 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Difatti, concludono i giudici, il diritto dell’Unione, riconosce ai rifugiati interessati una protezione più ampia rispetto a quella assicurata dalla Convenzione di Ginevra.
La sentenza rischia di infiammare ulteriormente il dibattito pre-elettorale che si gioca in buona misura sul tema dell’immigrazione. Così la pensa il Ministro dell’Interno che, dalla sua pagina Twitter, dichiara: “Ecco perché è importante cambiare questa Europa, con il voto alla Lega del 26 maggio. Comunque io non cambio idea e non cambio la Legge: i “richiedenti asilo” che violentano, rubano e spacciano, tornano tutti A CASA LORO”.
Ricordiamo che proprio il decreto Salvini, tra le altre cose, ha previsto, per i richiedenti che abbiano in corso un procedimento penale per reati gravi, in caso di condanna definitiva, di vedersi denegato o revocato lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, con l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, a partire dal momento dell’avvio del procedimento (artt. 7 e 8 D. L. n. 113/2018). Tra i reati, alcuni dei quali meno gravi rispetto a quelli precedentemente previsti per la revoca della protezione, particolare evidenza è stata data, non a caso, a quelli dal forte impatto sociale (violenza sessuale, produzione, traffico e detenzione ad uso non personale di stupefacenti, rapina ed estorsione, furto e furto in abitazione aggravati dal porto di armi o narcotici, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e gravissime, pratiche di mutilazione genitale femminile).