L’annuncio è giunto ieri nel tardo pomeriggio. La Libia avrebbe accettato la richiesta italiana di “rivedere” il Memorandum. Ufficializzando la disponibilità di massima, già espressa dal portavoce del governo di Al Serraj, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha illustrato ieri alla Camera (qui il video), intervenendo per la sua informativa, quello che ha definito il «Piano operativo umanitario» in quattro punti che l’Italia presenterà alla prossima riunione del comitato italo-libico, al quale verranno sottoposte le modifiche proposte.
Il Memorandum con la Libia si è quindi rinnovato automaticamente, sia pure con la richiesta informale da parte dell’Italia di generici miglioramenti. Del resto, in occasione del vertice di Malta del settembre scorso, il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, aveva lasciato intendere che sarebbe andata a finire così («gli accordi con la Libia li teniamo in piedi, la guardia costiera libica sta facendo un buon lavoro»). Eppure era sembrato che qualcosa potesse cambiare quando la stessa Lamorgese, in un’intervista del 12 ottobre scorso, aveva annunciato che avrebbe incontrato «i rappresentanti delle ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare dei migranti». Ma quando il ministro aveva aggiunto che il punto di partenza del confronto sarebbe stato il «codice di condotta già sottoscritto al Viminale» (cosiddetto Codice Minniti, sempre del 2017), era apparso evidente che non vi sarebbe stato alcun cambio di passo (noi ne abbiamo parlato anche qui).
Il confronto tra il ministro e le ONG si è svolto il 25 ottobre scorso ed è stato definito da un secco comunicato del Viminale come un «primo passo per l’avvio di una interlocuzione diretta tra le parti». Invece, il comunicato delle ONG ha fatto intendere chiaramente che, senza alcune azioni concrete, quel “primo passo” avrebbe rischiato di tradursi in un nulla di fatto.
E infatti. “Il memorandum è stato sottoscritto a Roma nel 2017, l’Italia era in quel momento in una fase molto delicata per la crisi dell’immigrazione. Il suo termine è fissato al 2 febbraio 2020. Ha previsto la costituzione di una commissione congiunta, per il controllo e il monitoraggio. Il memorandum ha svolto un ruolo importante per non isolare le autorità libiche e per il contrasto dei traffici di esseri umani. Oggi l’Italia è il principale collaboratore della Libia, e grazie al coinvolgimento dell’Oim e dell’Unhcr sono state migliorate anche le condizioni dei centri di accoglienza“, ha detto nel suo intervento alla Camera la ministra Lamorgese.
“Il primo intervento possibile – ha proseguito la ministra – è il miglioramento delle condizioni dei centri in vista della loro graduale chiusura, favorendo un intervento per la trasformazione delle strutture, per giungere a centri gestiti dalle agenzie dell’Onu“.
In secondo luogo, secondo la ministra, servono anche “iniziative bilaterali volte a chiedere l’apertura di corridoi umanitari“, con l’Italia che potrebbe avere una parte “di attore protagonista” e alla quale spetterebbero “regia e finanziamento”, con il coinvolgimento di altri Stati membri dell’Unione europea. Si tratta, “di una delle iniziative più significative per la risoluzione della crisi migratoria“, ha affermato. Il terzo intervento proposto rilancia le iniziative a sud della Libia promosse dal ministro dell’Interno del Governo Gentiloni Marco Minniti, con un progetto di rafforzamento della “sorveglianza” dei confini meridionali del paese. “Infine – ha concluso Lamorgese – punteremo al sostegno delle municipalità libiche per assicurare la diffusione di materiale medico e scolastico“. La ministra ha ricordato come lo scorso primo novembre l’ambasciata d’Italia a Tripoli abbia formalmente proposto alle autorità locali la convocazione della Commissione italo-libica prevista dall’articolo 3 del Memorandum al fine di aggiornare e modificare l’intesa e migliorarne l’efficacia mediante uno scambio di note.
Lamorgese ha quindi complessivamente difeso il “Memorandum of understanding” siglato con la Libia a febbraio del 2017 dall’allora governo Gentiloni (qui il testo), sciorinando anche dei dati sugli sbarchi che parlano (secondo lei) in “positivo”: «Al momento della stipula del memorandum, la situazione dei flussi migratori era preoccupante. Oggi c’è stata una forte diminuzione, del 97%, rispetto al 2017. Sono molto calate anche le morti nel mare, e sono convinta che il memorandum abbia contribuito a questi dati. In virtù di quell’accordo lo staff delle Nazioni Unite è rientrato in Libia, un risultato tutt’altro che scontato, un Paese che non ha ancora aderito alla Convenzione di Ginevra per il riconoscimento dello status di rifugiato. L’Unhcr assiste in Libia i migranti al momento dello sbarco, e effettua visite nei centri di detenzione, soprattutto a Tripoli. Fornisce un apporto per lo svolgimento delle operazioni di evacuazione umanitaria, condotte da Italia, Libia e Niger, che ha permesso di accogliere dal dicembre 2017 complessivamente 859 richiedenti asilo, di cui 808 provenienti dalla Libia».
Eppure, abbiamo dati che dicono l’esatto contrario: ovvero che gli sbarchi continuano e che si continua a morire in mare (e in Libia) (vedi per esempio qui). E questo ignorando completamente il fatto che se si cerca di “chiudere” da una parte, ecco che si cercano nuove e vecchie rotte dall’altra. Come nel caso della Balkan Route, della quale in pochi parlano (vedi l’articolo di Annalisa Camilli segnalato qui): una situazione preoccupante che rischia di aprire una nuova ennesima “emergenza umanitaria”.
La conferma del Memorandum è il segnale inequivocabile dell’assenza di quel cambio di passo in materia di immigrazione e di gestione delle frontiere, richiesta anche dal Tavolo Asilo il 30 ottobre scorso (noi ne abbiamo parlato qui) e dal mailbombing lanciato dalla Campagna IoAccolgo (noi ne abbiamo parlato qui). Né questi auspicati miglioramenti al Memorandum richiesti dal governo italiano possono risultare credibili, vista l’assoluta inaffidabilità della controparte.
La discontinuità rispetto alle politiche precedenti avrebbe richiesto innanzitutto di non rinnovare il Memorandum, sulla cui “vincolatività” per altro si nutrono dubbi. Asgi, ha opportunamente ricordato che non è stato ratificato dal Parlamento (in base all’art. 80 Cost., il Parlamento è in teoria è chiamato ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali che hanno natura politica e che determinano degli oneri finanziari sul bilancio dello Stato). In forza del Memorandum l’Italia concorre a finanziare la guardia costiera libica, che opera costanti violazioni dei diritti fondamentali delle persone intercettate in mare e portate nei campi di detenzione, come attestato da numerosi rapporti dell’Onu, e non solo. Tra le risorse utilizzate, quelle del Fondo Africa, che dovrebbe finanziare politiche di sviluppo per il Continente: una parte di quel Fondo è finito infatti nelle mani della Guardia costiera libica (sempre Asgi ha impugnato gli atti di sviamento di queste risorse pubbliche e si attende infatti l’udienza davanti al Consiglio di Stato).
Tirando le somme, le condizioni di vita disumane dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione in Libia sono destinate quindi per ora a non cambiare, e la famigerata Guardia costiera libica continuerà a violare i diritti fondamentali delle persone.