In occasione del 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, fiumi di parole sui diritti dei rifugiati attraversano il dibattito pubblico: decine le iniziative organizzate da associazioni ed enti locali in tutta Italia, diversi gli articoli pubblicati già nei giorni scorsi su varie testate on line. Nessuno certo negherà pubblicamente l’esigenza di garantire il diritto di asilo e il rispetto dei diritti umani di richiedenti asilo e rifugiati, compresi i rappresentanti del Governo e i Ministri più direttamente coinvolti: quello all’Interno e quello degli Esteri. E’ già un passo in avanti rispetto alle dichiarazioni xenofobe e discriminatorie cui ci avevano abituati i loro predecessori. Ma la retorica dei buoni propositi non sembra trovare purtroppo un riscontro nella sostanza delle scelte politiche adottate.
Sembra questo il caso di quanto concordato, secondo quanto anticipato prima da Amnesty International e poi il 18 giugno dal quotidiano La Stampa, dal ministro dell’Interno italiano con il suo collega libico Fawzi Al-Taher Adulali lo scorso 3 aprile. Il sito del quotidiano torinese ha messo on line il testo del verbale dell’incontro http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/458843/ di cui sia Amnesty International che alcuni parlamentari avevano chiesto ripetutamente la pubblicazione.
La “determinazione della Libia di fondare un nuovo Stato basato sulla democrazia e i diritti umani universalmente riconosciuti”, ribadita nella premessa del testo, non sembra infatti offrire molte speranze su un cambiamento significativo delle politiche dei due paesi nel governo delle politiche migratorie.
Sconcerta, ad esempio, che, dopo la sentenza di condanna della Corte Europea per i Diritti dell’uomo che ha riconosciuto l’illegittimità dei respingimenti di massa effettuati dal governo italiano nel 2009, nel documento il diritto di asilo non venga neanche nominato. E ciò, avviene, inutile ricordarlo, mentre l’interlocutore libico non ha ancora sottoscritto la Convenzione internazionale di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati.
Come negli accordi precedenti, l’attenzione dei due paesi è concentrata esclusivamente sul “contrasto dell’ immigrazione illegale”. Il Ministero dell’Interno sta già svolgendo attività di formazione rivolte a ufficiali di polizia libici sulle tecniche di controllo delle frontiere, sull’individuazione di documenti falsi e sulla guida di mezzi navali e si impegna ad allestire un centro di individuazione di falso documentale nonché un centro di addestramento nautico.
Nell’accordo viene ribadita la necessità di ripristinare quelli che, scandalosamente in Libia come in Italia, vengono definiti “centri di accoglienza” con un impegno comune a sollecitare un sostegno in tal senso (soldi) da parte della Commissione Europea. Oggetto della cooperazione bilaterale sarà anche l’apertura di un centro sanitario a Kufra per fornire “servizi sanitari agli immigrati illegali”: è forse questo l’unico atto concreto a “tutela dei diritti umani”?
La Libia conferma l’impegno a rafforzare le sue frontiere marittime e terrestri per contrastare la partenza dei migranti; l’Italia, da parte sua, promette i mezzi tecnici e le attrezzature necessarie.
Lo “scambio di informazioni in tempo reale concernente persone o organizzazioni implicate nel traffico di esseri umani” e la programmazione di “attività in mare”, elegante espressione per non parlare esplicitamente di respingimenti, e l’avvio di procedure idonee a favorire il rientro “volontario” degli immigrati irregolari, costituiscono gli altri punti qualificanti dell’accordo.
L’apertura di “Uffici di amicizia” (la creatività linguistica non ha confini) è prevista a Bengasi e Misurata per agevolare i contatti e le relazioni tra le autorità di sicurezza dei due paesi.
Sarebbe interessante sapere quante risorse il Ministero dell’Interno investirà per sostenere le autorità libiche in quelle che definisce attività di contrasto all’immigrazione illegale, ma che troppo spesso hanno causato la morte di donne e uomini in mare, e confrontarle con quelle che sono state destinate al sostegno del sistema di accoglienza in Italia a seguito dell’emanazione dello stato di emergenza nel Nord-Africa. Sarebbe interessante anche perché, come più volte ha denunciato l’Arci, non è ancora garantita fino alla fine dell’anno la copertura dell’accoglienza dei circa 30.000 migranti giunti in Italia dalla Libia. 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato: troppo lontana dall’incontro del 3 aprile?