Il nuovo governo italiano ha, con cinismo, messo il dito su una piaga che porta il nome di gestione dei flussi migratori e riforma del Regolamento di Dublino. La scelta di non far attraccare la nave Acquarius nei porti italiani ha infatti generato reazioni da parte dei governi europei che rimescolano le carte della complicatissima vicenda dell’accoglienza dei migranti che attraversano il Mediterraneo su mezzi di fortuna. Riferendo in Senato il ministro degli Interni Salvini ha persino avuto buon gioco a rinfacciare ai suoi colleghi francesi – che hanno usato toni molto duri nei confronti dell’atteggiamento italiano – il nulla di fatto in materia di accoglienza in questi anni. Salvini, tra le altre cose, ha anche avuto modo di elogiare l’operato in materia di immigrazione del suo predecessore Marco Minniti.
Proviamo a mettere alcuni elementi in fila per fare chiarezza su una vicenda davvero ingarbugliata che vede alleanze trasversali e non coerenti negli schieramenti europei. Ma partiamo innanzitutto da una premessa: l’aver chiuso i porti italiani è un fatto grave che non ha niente a che vedere con l’accoglienza dei migranti in senso stretto. La nave era (è) sovraccarica di persone e sarebbe compito di ciascuno Stato civile offrire riparo a quelle persone, molte delle quali minori, anche qualora si decidesse poi di rimpatriarle tutte senza nemmeno accogliere la richiesta di asilo. Il punto è questo e da qui viene la reprimenda delle autorità francesi come la scelta del governo spagnolo di rompere l’impasse che si era creato invitando la Acquarius ad attraccare a Valencia. La riforma di Dublino o il “contrasto all’immigrazione” (obiettivo quest’ultimo considerato prioritario da tutti i governi europei, non da noi) non si fanno giocando con le vite di coloro che sono già partiti, sono in mare, sono stremati e potenzialmente in pericolo.
E però tutti ricordiamo ciò che è successo a Ventimiglia, tutti sappiamo dei processi contro chi ha aiutato i migranti a passare il confine o ha offerto loro ospitalità a Mentone o altrove nel Sud della Francia. Non solo, tutti sappiamo che Parigi, come tutte o quasi le altre capitali europee, non hanno implementato il piano di ricollocamento dei migranti deciso dal consiglio europeo nel 2015. Che Danimarca o Ungheria, dove nelle maggioranze di governo siedono partiti dell’estrema destra populista e xenofoba si siano rifiutate di prendere impegni è tristemente comprensibile, che la Francia e altri con lei abbiano preso impegni (piccoli) per poi non rispettarli, è un fatto grave e rende l’Europa poco credibile in una materia dove servirebbe la stessa fermezza che viene pretesa quando si tratta di questioni di bilancio.
Il segnale che il governo italiano manda è utile a capire quali siano le sue intenzioni.
Da un lato c’è la volontà di proseguire nella demolizione mediatica delle ONG e di chi lavora nell’accoglienza: nell’aula del Senato il ministro degli Interni ha parlato di “business dei ricorsi per gli avvocati”, ha detto “chi vuole il business vada nelle cooperative non in un’aula del Senato”. I cattivi in questa storia insomma sarebbero quelli che recuperano le persone dai barconi, i “taxi del mare” come li ha definiti in più di un’occasione il vicepresidente del Consiglio Di Maio. Le insinuazioni e allusioni al fatto che costoro siano in fondo disonesti, lo facciano per soldi, siano in combutta con la Guardia costiera libica e i trafficanti si rinnovano a ogni crisi. Il risultato è quello di indicare un cattivo con cui prendersela (un classico del populismo dei tempi in cui viviamo). Nella vicenda Acquarius i cattivi sono prima le ONG e poi i francesi. Si badi, la retorica anti ONG, come se fosse il lavoro meritorio delle organizzazioni umanitarie a generare i flussi migratori, è tanto falsa quanto efficace. E questo è un male.
Dall’altro c’è la volontà di continuare a bloccare i flussi sulla costa libica o alla frontiera Sud del Paese, come già fatto dal governo precedente.
Ma veniamo all’Europa ripartendo ancora dalle comunicazioni di Salvini in aula. Ringraziando la Spagna, il ministro ha polemizzato con il neo-premier Sanchez: noi ospitiamo 170mila richiedenti asilo, loro 16mila, hanno ampio margine per migliorare in termini di solidarietà. Vero, come è vero che a Ceuta e Melilla le autorità spagnole si comportano nel peggiore dei modi possibili. Ma anche falso: i flussi in ingresso, oggi, passano per la Libia e questa è più vicina alle acque italiane e le regole europee, oggi, dicono che l’asilo si chiede nel posto in cui sbarchi. La sproporzione nei numeri si spiega così, non con la maggiore o minore propensione alla solidarietà. Non solo: se l’Italia avesse in questi anni emanato decreti flussi degni di questo nome, le persone che intendono raggiungere il Paese per ragioni economiche avrebbero avuto qualche possibilità di farlo. Così non è stato: per entrare in Italia oggi l’unico modo è salire su un barcone e chiedere protezione.
Il punto è che le regole europee vanno riscritte.
E qui veniamo alle alleanze, ricordando che il Parlamento europeo ha votato una proposta di riforma del regolamento Dublino che cancella la regola per cui si deve chiedere asilo nel primo Paese di ingresso nell’Unione e prevede il ricollocamento obbligatorio. Una proposta che l’Italia dovrebbe fare sua assieme alla Grecia e su questo terreno costruire alleanze e smascherare eventuali bluff (francesi o spagnoli). Alzare il polverone sulla nave Acquarius e proseguire la polemica contro le ONG è invece parte di quella campagna elettorale permanente che non mira a risolvere i problemi con i mezzi e il tempo necessario ma a lucrarci elettoralmente e in termini di consensi.
Il problema dell’Italia, come di tutti gli altri paesi, è che sulla questione dei flussi migratori non si gioca una partita europea ma tante partite nazionali. Così Parigi attacca Roma proprio alla vigilia di un vertice bilaterale e dopo aver espresso sostegno sulla questione. Così Orban è solidale con l’Italia sulla vicenda Acquarius, ma si guarda bene dal dirsi disponibile alla ricollocazione, così l’Italia avrebbe in mente di sostenere l’ipotesi tedesca (del ministro bavarese degli Interni Seehofer) di creare centri che facciano da filtro tra migranti economici e richiedenti asilo in Libia e Tunisia, esternalizzando il più possibile il problema. Come del resto ha fatto l’Europa tutta, pagando la Turchia perché si tenesse i siriani. Così Danimarca e Austria sognano centri che facciano da filtro in Kosovo e Albania. L’obbiettivo è unico: evitare di accogliere le migliaia di persone che cercano un futuro in Europa – e che in molti casi fuggono da Paesi o zone di guerra o da dittature classificate come Paesi sicuri dall’Europa, come ad esempio Etiopia e Eritrea. Le strade scelte sono nazionali: ciascuno cerca di scaricare altrove il problema o di non porselo affatto.
Niente di più sbagliato: come l’Italia e la società italiana vivrebbero un impatto molto meno forte dei nuovi flussi migratori se il sistema decentrato di accoglienza fosse diffuso e i comuni si prestassero tutti ad accogliere ciascuno poche persone, allo tesso modo i 28 Paesi dell’Unione potrebbero gestire i flussi in maniera efficace – mentre attivano politiche economiche e stanziano fondi per ridurre i flussi in uscita dall’Africa.
Ma compiere scelte di buon senso non sembra essere di moda nei tempi che viviamo.
Martino Mazzonis