Gli immigrati in Italia sono sempre più stabili e integrati. Non è una frase a effetto né uno slogan: è quanto ci viene comunicato dai dati diffusi dalla fondazione Ismu, che nel XXIII Rapporto sulle migrazioni, presentato oggi, martedì 5 ottobre, a Milano, fornisce una panoramica del fenomeno migratorio in Italia, approfondendone alcuni aspetti. Il quadro che emerge dallo studio della fondazione di ricerca è quello di una società, quella italiana, in cui la componente di origine straniera rappresenta una parte sempre pù importante e sempre meno trascurabile.
Non stranieri, ma cittadini
Un dato in particolare si leva sugli altri, ed è quello relativo ai nuovi cittadini, ossia alle persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana: ben 202mila nel 2016. 202mila persone che hanno chiesto, e ottenuto, di essere cittadine del paese in cui risiedono regolarmente. Di queste, 4 su 10 sono minori.
Da questo punto di vista, l’Italia si situa al primo posto in Europa per numero di acquisizioni di cittadinanza. Un primato che in realtà si riferisce al 2015, in quanto ultimo anno in cui è possibile fare un confronto a livello europeo (per mezzo dei dati Eurostat), ma che, come evidenzia la fondazione, verrà consolidato per il 2016, anche considerando che nel resto dei paesi UE si registra invece una costante diminuzione delle acquisizioni.
Il dato riportato da Ismu ci parla di persone stabilmente e regolarmente presenti sul territorio nazionale, che scelgono di fare parte del paese in cui vivono.
Presenze stabili e nessuna invasione
Al 1 gennaio 2017, quindi considerando l’anno 2016, le persone di origine straniera presenti in Italia sono stimate quasi 6 milioni (5 milioni e 958mila persone), con un incremento di 87mila persone (+1,5%) rispetto al 2015. Un aumento lieve, che però – fa notare la fondazione – non considera, ovviamente, il dato relativo alle acquisizioni di cittadinanza, che va a influire anche sul quadro delle diverse provenienze delle persone. Sotto questo aspetto, la Romania si conferma il paese maggiormente rappresentato, con 1 milione e 169mila residenti (23,2% del totale). Seguono i cittadini albanesi (450mila, 8,9% del totale) e marocchini (420mila persone, 8,3% del totale), entrambi in calo (-19mila persone per la componente albanese, -16mila per quella marocchina, rispetto al 2015). Un calo dovuto proprio alle acquisizioni di cittadinanza: 35mila in entrambi i casi.
I dati fin qui riportati rimandano al quadro delle presenze stabili e di lungo periodo. E i nuovi arrivi? “Non siamo di fronte a un’invasione”, affermano i membri della fondazione. Che ribadiscono: “I dati quantitativi sulla presenza straniera in Italia non sembrano mettere in luce dinamiche e prospettive preoccupanti”. La necessità di rimarcare come non ci si trovi di fronte a una situazione allarmante può essere letta come il tentativo di fare luce sulla realtà, a fronte di una narrazione politica e mediatica fuorviante e strumentale. Una realtà in cui di fatto le persone che provano a raggiungere l’Italia sono in aumento (da 63mila del 2011 a 181mila del 2016, fino agli oltre 117mila del 2017, con un aggiornamento al 4 dicembre) perchè le situazioni da cui si spostano non migliorano. Parlare di invasione di fronte all’arrivo di persone che cercano solo e unicamente una vita migliore significa produrre una visione distorta all’interno della società, che invece deve essere conscia del fatto che “i dati mostrano la decisa crescita di una componente soprattutto africana negli ingressi, che riflette la combinazione tra guerre, regimi persecutori e condizioni di estrema miseria”. In particolare, è la Nigeria il paese dal quale provengono la maggior parte delle persone: dal 5% del totale nel 2014 si è passati al 21% del 2016, confermato dal 17% del 2017.
Lavoro: più occupati, ma manca un’ascesa professionale
Per quanto riguarda l’ambito professionale, sono 2 milioni e 401mila gli stranieri occupati nel 2016 (2.359.065 nel 2015): il 10,5% dell’occupazione totale. Scende il dato sulla disoccupazione (15,4%, contro il 16,2% del 2015), che comunque, raffrontato con i periodi precedenti la crisi, si mantiene alto: nel 2008 la percentuale di disoccupati era dell’8,5%.
In linea generale, la maggior parte della popolazione di origine straniera lavora come dipendente (86,6% degli stranieri occupati, rispetto al 74,8% degli italiani) ricoprendo il ruolo di operaio (76,6% rispetto al 30,7% degli italiani). Il profilo impiegatizio interessa solo l’8,6% degli occupati di origine straniera. Quadri e dirigenti non arrivano nemmeno all’1%.
Una menzione particolare spetta al fenomeno dell’inattività, che coinvolge in particolare la componente femminile. Il dato relativo a questa condizione per il 2016 è di 1 milione e 181mila persone di origine straniera in età lavorativa (15-64 anni); di questi, ben il 72% sono donne. Si tratta in particolare di donne con una scarsa istruzione, “esattamente come avviene per le donne italiane”, sottolinea Ismu, che rileva un’accentuazione del fenomeno rispetto ad alcune comunità nazionali, Pakistan (92,9%) Bangladesh (82,8%) e Egitto (82,3%) in testa.
Qui link al comunicato stampa di presentazione del rapporto