“Alcuni ci dicono che non possono parlare con i giornalisti, perché altrimenti il rischio è quello di non avere il permesso di soggiorno. Qui non vogliono che loro parlino e loro preferiscono non farlo. Siamo qui, intanto. Siamo obbligati ad accettare tutto. Voi uscirete e noi resteremo con loro”.
Una delegazione della campagna LasciateCIEntrare ha visitato il CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Crotone, una delle “strutture-mostro che fagocitano esseri umani e macinano soldi“.
Pubblichiamo di seguito il resoconto della visita, invitando alla sua diffusione.
L’INGRESSO
Una delegazione di LasciateCIEntrare accede al CARA di Crotone il 22 Dicembre alle ore 10.30. E’ composta da Francesco Noto, Ahmed Baraou e Yasmine Accardo. Dopo aver presentato documenti e foglio di autorizzazione all’entrata ci lasciano entrare senza scorta. Restiamo straniti, abituati ad entrare sempre scortati da poliziotti ed addetti. Immaginiamo che il sistema di sorveglianza sia qui, probabilmente, molto sicuro. Ci guardiamo intorno alla ricerca delle telecamere. Effettivamente ce ne sono molte.
I CAMPI DOVE SI COLTIVANO SOLDI
Ci dirigiamo subito verso il Campo A, la Baraccopoli di container gialli e blu dove i migranti stanno svolgendo le loro attività quotidiane: mercatini improvvisati, vendita al dettaglio di bibite, lavaggio vestiti che appendono sulle funi montate tra un container e l’altro. Abbiamo modo di parlare con diversi di loro. Alcuni sono arrivati da poco altri sono qui da oltre un anno. Nessuno inizialmente vuole parlarci. Sono guardinghi e si girano intorno come a valutare la presenza di altri. Gli diciamo che rappresentiamo una campagna che si pone l’obiettivo di salvaguardi dei diritti. Non si fidano e molti restano in silenzio. Alcuni ci dicono che non possono parlare con i giornalisti, perché altrimenti il rischio è quello di non avere il permesso di soggiorno. Qui non vogliono che loro parlino e loro preferiscono non farlo. “Siamo qui, intanto. Siamo obbligati ad accettare tutto. Voi uscirete e noi resteremo con loro”. Nei container dormono fino ad otto persone. In ognuno c’è un fornelletto, che i migranti comprano da se. I container sono sporchi e malmessi. Ci chiediamo come si riscaldino lì dentro. Un container ha la porta aperta e mostra macerie di un incendio. C’è un gatto dentro che si lava. Molti dei migranti sono in città dove si recano anche per cercare un piccolo lavoretto o per fare una passeggiata. Ci raccontano che con i crotonesi, però, non hanno alcun contatto. Ci avviciniamo ai bagni dove alcuni addetti hanno appena terminato le pulizie. Le docce sono otturate e quindi l’acqua ristagna alla base e le pareti sono quindi ammuffite. Cambiamo area e cui dirigiamo al campo B, per la strada incontriamo altri migranti. Loro ci salutano e riusciamo a scambiare qualche parola in più. La scena è sempre la stessa: si guardano intorno preoccupati. Qualcuno di loro ci incalza dicendoci che lì non sono trattati bene: vanno dal medico e non vengono assistiti. Uno di loro ha un problema agli occhi e continua ripetutamente a chiedere assistenza, ma gli viene detto che non ha niente e non ha bisogno di nessuna terapia. Eppure lui continua a non vedere bene. Si strofina gli occhi e si chiede se sia giusto essere trattati così. Il suo compagno ha dolori alterni all’addome ma anche per lui la risposta è stata la stessa: non hai niente. Vogliamo sperare che sia davvero così. Continua a parlarci dicendoci che nessuno qui riceve soldi. Hanno soltanto un pacchetto di sigarette a settimana. Internet lo pagano due euro all’ora e se lo sono fatti da se. Esiste anche il barbiere, dato che quello del campo non deve funzionare un granchè, un euro il taglio capelli, cinquanta centesimi la barba. Mentre parliamo con alcuni migranti, altri a gruppi ci guardano da lontano. Vorrebbero probabilmente avvicinarci ma non lo fanno.
GLI AVVOCATI SCIACALLI
Proseguiamo verso l’area B, dove c’è anche una moschea. le abitazioni non sono baracche ma moduli abitativi bianchi. Più migranti ci si avvicinano qui. Confermano tutti quanto ci hanno già detto altri. In particolare ci raccontano che nel caso qualcuno ricevesse negativo dalla commissione, un avvocato dell’interno li manda da un collega a Crotone, che si prende 200 euro per i ricorsi. Non tutti hanno questa cifra. E devono averla però entro 15 giorni dal diniego. Altrimenti niente ricorso e nessun documento. Quindi devono procurarsi soldi e lo fanno cercando piccoli lavoretti a Crotone, facendo l’elemosina ai supermercati o cercando vestiti nei rifiuti da rivendere una volta puliti. Soldi anche per telefonare ai propri cari. Perché non gli danno nemmeno le schede telefoniche.
COSI’ DOVREBBERO ESSERE LE VISITE NEI CENTRI DI DETENZIONE
In quest’area c’è una donna che ha partorito da poco, dentro al centro. Dice che non hanno voluto portarla in ospedale e che ha sofferto pene indicibili. Avrebbe voluto fare il parto cesareo. Ma niente da fare ha partorito lì. Siamo al campo da circa due ore e mezza. Nessuno a parte i migranti si è avvicinato a noi. Entriamo nelle palazzine dove ci sono gli ambulatori per le visite, i saloni dove si fa scuola. Giriamo tutto l’edificio e ridiscendiamo. Stanno chiamando i migranti al pranzo ed assistiamo alla distribuzione. Le porzioni di cibo sono minuscole: Riso e carne, di cui non si conosce la provenienza. Molti qui sono musulmani, lamentano che vorrebbero carne halal, ma ci hanno rinunciato: o questo o niente. Il pasto è composto da: una fettina di carne, una porzione di riso, una mela, una bottiglia d’acqua. Mentre siamo lì, avremmo potuto fare la fila per prendere il cibo, ma non avevamo la tessera. Qui non ti guardano nemmeno in faccia.
IL CAPANNONE DEL BENVENUTO
Verso le 13 e 15 arriva un autobus ed un folto gruppo di poliziotti e militari. Ci avviciniamo al capannone. Salutiamo poliziotti e militari ed entriamo senza alcun tipo di ostacolo. Nel capannone ci sono circa 50 migranti, siriani, appena arrivati. Sono seduti sui letti e gli viene dato il pasto, che consumano in maniera poco dignitosa, mentre un mediatore di lingua araba spiega in fare piuttosto severo qualcosa. Ci avviciniamo ai migranti per sapere da dove vengono: dalla Turchia. Ci sono donne e bambini. Lasciamo un nostro contatto telefonico. Mentre parliamo ad un tratto il mediatore punta il dito verso Ahmed.” Lui non l’ho identificato”. Ahmed risponde dicendo che lui ha già i documenti. C’è il responsabile della prefettura che comincia ad urlare, dicendo lui lì cosa ci fa e chi l’ha autorizzato ad entrare. Rispondiamo tutti insieme che siamo la delegazione di LasciateCIEntrare. E siamo autorizzati dalla prefettura, cioè da lui. Continua ad urlare e ci ordina di uscire. Vuole sapere da dove siamo entrati: “dalla porta centrale. Abbiamo lasciato i documenti e mostrato l’autorizzazione”: Non ci crede e continua a sbraitare. Arrivano i poliziotti cui mostriamo il foglio di autorizzazione. Ci guardano sgomenti: non sapevano che fossimo lì!
IL BUONSENSO
Ci invitano ad uscire, dicendoci che comunque noi lì non possiamo stare, perché ci sono migranti appena arrivati. Gli diciamo che proprio da Crotone, ci erano giunte segnalazioni su pestaggi ai migranti per prendere le impronte. E che l’on Intrieri ne fece un’interrogazione parlamentare. Ci accompagnano verso l’uscita, mentre continuiamo ad incalzarli su quanto accaduto a Crotone pochi mesi fa. Ci assicurano che loro accolgono i migranti e li trattano bene. Il poliziotto ci chiede se abbiamo scattato foto, confida nel nostro buon senso. Gli diciamo che ci opponiamo al non prendere foto all’interno. E quindi ci lascia all’uscita.
Dopo un’ora riceviamo una telefonata da un siriano all’interno: vogliono costringerli a prendere le impronte. Diamo loro nome di avvocato e numero di telefono. Cominciano uno sciopero della fame. Chiamiamo l’avvocato, che si dirige verso il cara. Proviamo a rientrare. Ce lo permettono. Incontriamo nuovamente il poliziotto che ci aveva accompagnato all’uscita. Incalziamo nuovamente . chiedendo di poter entrare lì dove sono i siriani, per garantire il diritto di non rilasciare le impronte, con procedura indicata da documento ASGI (che inviamo per mail). Il poliziotto telefona ci lascia a lungo in attesa. Dopo una mezz’oretta torna. Ci dice che non possiamo andare ma che ai migranti non prenderanno le impronte. Gli diciamo che c’è un avvocato e che la parola “Forzate” non significa a suon di botte. Ci accompagna nuovamente all’uscita. Più tardi entrerà nuovamente un’altra persona, Simona Martini, sempre come LasciateCIEntrare per assicurarsi delle condizioni dei migranti: i bambini giocano e non ci sono problemi. I migranti siriani se ne andranno il giorno dopo. Noi per tre ore siamo stati invisibili tra gli invisibili.
LA PUZZA DEI SOLDI
Ovviamente rimane l’amaro in bocca, per la nostra impotenza di fronte a queste strutture-mostro che fagocitano esseri umani e macinano soldi. Ma lo Stato e il parastato sa dove piazzarle. Tutto il tempo della visita ha spirato un vento che oltre ad abbassare le temperature profumava l’aria di quel tanfo che senti quando sei vicino ad una discarica. Sono le discariche dei Vrenna. Qui tutto intorno è un via vai continuo di camion che trasportano, smistano, triturano, trasformano i rifiuti in soldi. Esattamente con il Centro di Crotone, al posto dei rifiuti provenienti dagli oggetti, esseri umani.
AHMED
La mia visita lampo al”cara” di Crotone è stata una sorpresa per me Ahmed Berraou. Vivo in Italia da 20 anni e sono un imam. Sono stato presidente della comunità islamica dal 1997 fino al 2011 ed oggi sono presidente di un’ associazione di volontariato nel’ambito immigrazione oltre che mediatore culturale da anni e sindacalista nel direttivo della CGIL. Sono stato chiamato dalla Campagna LasciateCIEntrare per far parte della delegazione in visita al CARA il girono 22 Dicembre c.a. Siamo arrivati la mattina a Crotone, passando per una strada ben nota per il degrado ambientale e le discariche. Intorno alle 10.30 siamo arrivati al CARA di Santa’Anna io, Francesco e Yasmine. Abbiamo presentato l’autorizzazione ad entrare del prefetto, lasciato le nostre carte d’identità ed abbiamo percorso soli il lungo vialone che conduce all’interno. Ci siamo diretti verso il Campo A che da più di 10 anni si trova lì e si compone di container di ferro sistemati in fila al cui interno “dimorano” un minimo 8 persone per lo più asiatici e maliani in condizioni igieniche del tutto insane e dove il sistema elettrico non possiede alcun sistema di sicurezza..In alcuni containers sono stati allestiti anche dei negozietti fai da te di migranti che si trovano lì da oltre un anno. L’assistenza sanitaria è penosa, così mi riferiscono tutti i migranti con cui riesco a parlare, soprattutto perchè è difficilissimo incontrare i medici, visto che per lo più vengono visitati da infermieri o stagisti. Il cibo è insufficiente e senza né gusto nè sapore, oltre che non avere nessuna indicazione se sia o meno helal, nel caso si tratti di carne. Tutte le persone con cui ho parlato si lamentano di tutto ma sono costretti ad accettare le condizioni del campo per paura o per ricatto, visto che gli si dice. “o così o niente permesso di soggiorno”. La storia più triste è quella di una donna marocchina che ha partorito nel campo dopo una lunga sofferenza e che adesso ha una figlia malata di 4 mesi nata dopo un intervento dentro al cara e senza aver mai visto l’ospedale.
Continuando a visitare il campo siamo giunti al posto di prima identificazione dove abbiamo trovato più di 50 persone tra uomini, donne e bambini tutti siriani appena arrivati dalla sicilia. Stavano tutti dentro un capannone, un posto davvero poco degno per una prima accoglienza. Mi sono avvicinato a un giovanotto, che aveva la stanchezza tracciata pesantemente sul viso, a lui ho lasciato il mio biglietto da visita con numero di telefono per chiamare in caso di necessità. Stavamo scambiando due chiacchiere quando, dopo un po’, è arrivato un funzionario della polizia e dell’accoglienza che ha cominciato a gridare gridando e bestemmiare, usando parole molto volgari e senza motivo. Diceva che noi non potevamo stare lì e chiamato la polizia, l’esercito, i carabinieri e la guardia di finanza per impedirci di restare lì. Quindi siamo stati “scortati fuori” e dopo un po’ siamo stati richiamati dal siriano cui avevo lasciato il mio numero. Volevano costringerli a prendere le impronte con la forza. Così siamo entrati di nuovo, però la polizia ci ha impedito di parlare con loro, che all’interno erano già in sciopero della fame. Abbiamo però spiegato loro che non potevano prendere le impronte per forza e che esiste un’altra procedura e non solo, che già da l’ erano arrivate segnalazioni di “botte” ai siriani, nei mesi precedenti. Abbiamo chiamato un avvocato di zona perchè li potesse difendere, ma non è stato fatto entrare. Poi è arrivata un’altra ragazza del volontariato della zona, che aiuta molti siriani. E’ entrata anche lei, ma non le è stato permesso di vedere i siriani del gruppo. Comunque è proprio il campo della Vergogna!