“La decisione che posso qui annunciare è che ci saranno funerali di stato”: lo ha comunicato il premier Enrico Letta durante la conferenza stampa tenutasi ieri a Lampedusa, cui hanno preso parte anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano, il presidente della Commissione Europea Manuel Barroso e il commissario europeo per gli Affari Interni Cecilia Malmstrom.
Letta si è scusato anche per le “inadempienze” del nostro paese riguardo “quello che tragedie come questa comportano e hanno comportato”. Il premier ha scelto un’espressione corretta: “hanno comportato”. Perché quello che questo clamore mediatico rischia di offuscare, è che la strage del 3 ottobre ha avuto molti precedenti. In questi giorni il dibattito pubblico e istituzionale hanno dedicato grande spazio a quello che è successo. Ma con che esito?
Un minuto di silenzio, lutto nazionale, funerali di stato, l’impegno ad abolire il reato di ingresso illegale. Ma le contraddizioni sono davvero troppe: le intenzioni della politica si scontrano in maniera troppo stridente con quello che è la realtà odierna.
La realtà, ad esempio, è che quelli che sono sopravvissuti vivono, insieme ad altre 800 persone, nel centro d’accoglienza dell’isola, che ha una capienza di 250 posti e le cui condizioni sono davvero disumane, lontane da quelle che dovrebbe avere un sistema di accoglienza di un paese civile, come confermato dallo stesso Letta in conferenza stampa.
La realtà è che i superstiti del naufragio restano, incredibilmente, indagati per il reato di “immigrazione clandestina”.
La realtà è che durante la conferenza stampa il premier Letta e il suo vice Alfano hanno espresso posizioni estremamente diverse sulla possibilità di rivedere la legge Bossi-Fini, l’uno dicendosi possibilista su un confronto “con forze politiche che su questo tema hanno avuto in passato posizioni molto diverse tra loro”, l’altro affermando che “la cosa più importante è il rapporto con gli altri stati europei, con la commissione europea: gli interventi legislativi non servono per evitare le tragedie del mare”.
E’ sicuramente vero che una legge non è un salvagente, non è un’imbarcazione sicura.
Ma la legislazione rispecchia la mentalità della classe politica: quella vigente lega l’ingresso regolare delle persone alla titolarità di un contratto di lavoro e ha trasformato in reato un illecito amministrativo.
Ciò che sembra condiviso da tutti i relatori della conferenza stampa è la necessità di un coordinamento delle politiche a livello europeo, di sostenere una strategia comune, per cui Letta ha annunciato che si creerà “da subito un lavoro congiunto tra commissione europea, governo italiano che presiederà il secondo semestre dell’anno prossimo e governo greco, presidente del primo semestre, per fare del 2014 l’anno in cui il grande tema delle migrazioni sia centrale nelle scelte dell’Europa”.
Anche gli interventi assunti sul piano transnazionale rispecchiano una posizione politica, e hanno delle conseguenze: sul piano europeo le modifiche al Regolamento Dublino (che entreranno in vigore a partire dall’1 gennaio 2014) sono state deludenti: resta infatti confermata in via generale la regola secondo la quale i potenziali richiedenti asilo devono presentare la domanda di asilo nel primo paese europeo di approdo. Solo in caso di sistematiche inadempienze del paese di primo approdo i criteri di competenza di Dublino non si applicano.
Ma nella permanenza di una situazione molto differenziata tra i sistemi di accoglienza tra i paesi del Sud e del nord Europa, molti richiedenti asilo tentano in tutti i modi di non farsi identificare nei paesi di arrivo perché vogliono dirigersi nei paesi in cui pensano di trovare una migliore protezione.
Quello che è stato concretamente proposto ieri, invece, è il potenziamento dell’agenzia Frontex, con il lancio di una “grande operazione Frontex per il salvataggio di chi si trova in difficoltà”. Ma “il mandato di Frontex è combattere l’immigrazione cosiddetta ‘clandestina’, non salvare vite” denuncia la campagna internazionale Frontexit, che sottolinea la mancata trasparenza nelle operazioni. “La posizione dell’Europa è chiara – afferma Frontexit – rafforzare ed esternalizzare sempre di più il controllo delle frontiere, così da spostare le ‘tragedie dei migranti’ lontani dal pubblico europeo”.
La conferenza stampa di oggi non sembra, francamente, aver aggiunto informazioni a quello che già sapevamo.
Ci sembra imperante un’ipocrisia di fondo, contro cui è necessario affermare chiaramente che “surveillance is not the equivalent of watching over”. Sorvegliare non è la stessa cosa di prestare attenzione: è il messaggio di Frontexit, a cui ci associamo. E’ impossibile avere l’obiettivo di bloccare le persone, e contemporaneamente, con gli stessi mezzi, dire di voler prendersi cura di loro come esseri umani che hanno bisogno di protezione. Una politica volta a combattere persone che chiama “clandestine” o “illegali” non sarà mai volta al rispetto dei diritti umani.