Prima la morte di sei migranti a Castel Volturno nel settembre 2008; poi il ferimento di due migranti a Rosarno nel gennaio 2010. Due fatti accomunati dalla bassa qualità dello sviluppo economico e sociale dei territori in cui sono accaduti, dalla grande diffusione dell’economia sommersa e del lavoro nero e dalla ribellione dei migranti stanchi di vivere in condizioni lavorative e sociali pessime. A partire da questi due eventi, considerati non casuali, l’Ires Cgil in collaborazione con Flai e Fillea hanno condotto una ricerca che mappa le aree a maggiore rischio sociale, presentata il 1° luglio scorso.
Il modello di analisi adottato dai ricercatori, mutuato dallo storico Lawrence Stone, distingue tra gli elementi precursori, precipitanti e detonatori dei fenomeni sociali identificando i primi con le condizioni socio-economiche del territorio, i secondi con alcuni elementi di contesto e i terzi con quei fattori esogeni che se persistenti nel tempo portano al conflitto sociale.
L’interesse della ricerca risiede nell’adozione di un approccio metodologico che da un lato misura, grazie all’elaborazione di 4 indicatori, la qualità dello sviluppo economico, occupazionale, sociale e dell’insediamento abitativo dei cittadini stranieri delle province italiane individuando le 15 zone maggiormente critiche (tutte concentrate al Sud). In un secondo momento approfondisce l’analisi di alcuni studi di caso nei territori di quattro province: Caserta, Reggio Calabria (Piana Di Gioia Tauro), Foggia (Capitanata) e Siracusa (Cassibile).
Secondo gli autori infatti “il combinato disposto di sfruttamento, mancato sviluppo e corruzione della piana di Gioia Tauro in generale e di Rosarno in particolare, costituiscono una sorta di paradigma di quello che potrebbe accadere in molte altre realtà. Quanto è emerso dopo la rivolta dei lavoratori africani a Rosarno ha nuovamente posto l’attenzione sia rispetto alle gravi forme di sfruttamento lavorativo e degrado sociale in cui versa una considerevole parte dei lavoratori in questo paese – e si tratta soprattutto di immigrati -, sia rispetto all’assenza di decisive ed adeguate politiche locali e nazionali in materia di accoglienza, di lavoro e di sviluppo che invece porterebbero a ridurre, almeno in parte, i rischi potenziali di conflitto sociale.”
Si tratta quindi di analizzare in profondità le radici del disagio e della conflittualità sociale per individuare le possibili risposte che le istituzioni, gli attori economici e la società civile organizzata possono mettere in campo.
Info: www.ires.it