Le persone di origine straniere presenti in Italia aumentano. Nonostante la crisi, nonostante la disoccupazione. Lo afferma il Dossier statistico sull’immigrazione 2013, presentato oggi a Roma, e in contemporanea in tutte le regioni italiane.
Secondo la stima del Dossier, curato da Idos, e per la prima volta patrocinato non più da Caritas/Migrantes ma dall’Unar, dal Ministero per l’integrazione e dal Dipartimento per le pari opportunità, sarebbero 5.186.000 le persone presenti in Italia regolarmente: una cifra che comprende anche le persone arrivate per ricongiungersi ai familiari, e i nuovi nati in territorio italiano.
Oltre a constatare l’aumento della presenza straniera – anche se in misura minore rispetto ad altri anni (+8,2% tra i residenti, +3,5% tra i soggiornanti non comunitari) –, il Dossier sottolinea la tendenza all’insediamento stabile. Se è vero, infatti, che per molte persone l’Italia è un paese di passaggio, questo discorso non può essere generalizzato, anzi: l’orientamento è alla stanzialità.
A fronte di questa situazione, però, mancano misure, politiche e pratiche di inserimento.
La politica sembra non riuscire a rispondere in maniera funzionale a un fenomeno che è ormai strutturale. E questa mancanza, che si percepisce in maniera forte, si traduce nell’assenza di pari opportunità e nella discriminazione, sempre più presente in diversi ambiti.
Il mondo del lavoro
Attualmente, le lavoratrici e i lavoratori stranieri in Italia sono 2.3 milioni, e incidono per il 10% sul totale degli occupati.
I lavoratori stranieri, però, sono tendenzialmente sottoinquadrati rispetto al loro grado di formazione: occupati in impieghi di bassa qualifica, anche la loro retribuzione è tendenzialmente bassa. Una condizione strutturale secondo la viceministra del lavoro e delle politiche sociale Maria Cecilia Guerra: “I flussi nascono proprio con la mentalità di coprire i settori in cui sono meno presenti gli italiani”, quindi senza un’idea di fondo paritaria.
Molti immigrati vengono inoltre impiegati nel lavoro sommerso, dove spesso subiscono condizioni di pesante sfruttamento, che sfocia addirittura nel paraschiavismo.
Sul fronte della crisi occupazionale, gli immigrati sembrano risentirne di più rispetto agli italiani: il tasso di disoccupazione degli stranieri è aumentato di 2 punti percentuali nell’ultimo anno (14,1%, 382mila persone), superando di 4 punti il tasso degli italiani.
Anche il tasso di occupazione, pur rimanendo superiore rispetto a quello italiano, è diminuito di 2 punti (60.6%).
La disoccupazione è inoltre di lungo periodo: “In oltre la metà delle famiglie straniere (62.8%) è attualmente occupato un solo componente”, ha affermato la viceministra Guerra, sottolineando come questo aspetto contribuisca a rendere più povere le famiglie composte da persone di origine straniera. A questo si associa la facilità con cui queste persone perdono il lavoro: una condizione che, se drammatica per gli italiani, lo è ancor più per gli stranieri, dal momento che non hanno redditi alternativi o aiuti familiari.
La casa
“Quando ero una studentessa e cercavo casa, mi capitava frequentemente di fissare appuntamenti telefonici e poi, sentendo il mio nome, di sentirmi dire: Ah,ma sei straniera? E riattaccavano”. La testimonianza riportata durante la presentazione dalla giornalista Maria Dulce Araujo Evora è lo specchio di un altro aspetto particolarmente critico che investe la popolazione straniera presente in Italia, ossia l’inserimento abitativo.
E’ sempre più difficile per una persona non italiana ottenere una casa in affitto, magari con un regolare contratto, ancor più se in aree non periferiche delle città: nell’insieme, il Dossier stima che circa il 20% degli immigrati viva in condizioni di precarietà alloggiativa.
Ambito giuridico-istituzionale
I cittadini di origine straniera risultano spesso discriminati dalle istituzioni italiane. Le prestazioni assistenziali, che per legge dovrebbero interessare i cittadini stranieri, in realtà sono spesso loro precluse a causa delle condizioni richieste per ottenerle: sempre più frequentemente si pone come requisito l’anzianità di residenza, andando contro le leggi nazionali ed europee.
Le persone di origine straniera vengono ancora escluse dall’accesso al pubblico impiego e al servizio civile, in un’ottica istituzionale che ancora una volta discrimina chi viene ostinatamente considerato “straniero” piuttosto che parte del tessuto sociale e civile del paese.
Un’esclusione che penalizza non solo gli immigrati, ma l’intero paese, che da questa frammentazione interna ne esce indebolito, come sottolineato durante la presentazione
“Perchè l’Italia è invasa dai clandestini?”
A quarant’anni dall’inizio convenzionale dell’immigrazione in Italia, l’approccio politico continua a essere legato a un fenomeno che viene erroneamente considerato emergenziale. In questo panorama, i media ricoprono un ruolo fondamentale nel costruire un ingiustificato allarmismo.
“Occorre lavorare molto sulla comunicazione per cambiare la visione del fenomeno migratorio, e allontanarsi da un approccio prevalentemente securitario per abbracciare invece una reale politica di governance” ha affermato la ministra per l’integrazione Cecile Kyenge. In visita a una scuola elementare e media, la ministra si è sentita rivolgere queste domande dagli alunni: “Perchè l’Italia è invasa dai clandestini?”, “Avete degli obiettivi su cui lavorate?”: domande che devono mettere “la politica e gli operatori dell’informazione in allarme, perchè sono l’indice di come viene trattato e trasmesso il fenomeno”. La ministra sottolinea come la carenza di amministrazione, oltre a creare sofferenze e disagi alla popolazione immigrata, procuri anche spaesamento negli italiani, che a volte si traduce in ostilità.
Una visione condivisa dalla viceministra Guerra: parlando delle prestazioni assistenziali, Guerra ha sottolineato come la popolazione straniera ne avrebbe pieno diritto in base alle condizioni di reddito. “Questa situazione però, soprattutto in un periodo di crisi economica, potrebbe creare facilmente guerre tra poveri” ha affermato la viceministra. Proprio per scongiurare questi rischi occorrono messaggi politici chiari, che puntino sulla promozione dei diritti civili.
Anche i media devono contribuire a dare un’immagine dell’immigrazione veritiera, e non sensazionalistica e legata prettamente ai fatti di cronaca. “Stranieri, extracomunitari, clandestini”, queste sono le parole maggiormente usate per indicare gli immigrati, nonostante il protocollo deontologico Carta di Roma e le molte indicazioni in materia. “Per il terzo anno consecutivo l’ambito dei mass media è quello dove maggiormente si rintracciano i casi di razzismo e discriminazione segnalati dall’Unar”, ha affermato Ermenegilda Siniscalschi, direttrice del Dipartimento per le pari opportunità, che ha sottolineato la diffusione esponenziale degli hate speech attraverso i social network.
Oltre a lavorare sul linguaggio, il Dossier sottolinea la necessità di affrontare concretamente la questione della cittadinanza, tenendo in seria considerazione che, per i tanti nati in Italia, è questo l’unico contesto di vita e di socializzazione conosciuto, nonostante continuino ad essere chiamati “stranieri”.