“Quando si parla di malattie, soprattutto di tubercolosi, che evoca tristi ricordi, paure irrazionali, stigma bisogna stare attenti, perché l’informazione deve essere scrupolosa, attenta e non fuorviante e purtroppo sono in molti a parlarne in modo maldestro”: arriva immediata la replica del mondo scientifico alle dichiarazioni di Beppe Grillo sul presunto ritorno della tubercolosi in Italia, associata all’arrivo dei migranti (ne abbiamo parlato qui).
Medici, ricercatori e scienziati hanno deciso di intervenire sulla questione, con una lettera aperta firmata, tra gli altri, da Giorgio Besozzi, presidente di ‘Stop Tb Italia Onlus’, Mario Raviglione, direttore del programma mondiale sulla Tbc dell’Oms, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale di malattie infettive Spallanzani di Roma, Giovanni Battista Migliori, direttore del Centro Oms sulla Tbc presso la Fondazione S. Maugeri di Tradate, Delia Boccia della ‘London School of Hygene and Tropical Medicine’, Matteo Zignol e Giampaolo Mezzabotta dell’Oms.
Con riferimento alle affermazioni del leader del Movimento 5 Stelle, sottolineano che “i nostri bisnonni erano tenuti in quarantena perché allora la tubercolosi non era curabile, ora si può guarire”, mentre “la chiusura delle frontiere dei paesi africani è ampiamente giustificata, perché di ebola si muore. Potremmo dirle che i poliziotti a cui fa riferimento non sono ammalati di tubercolosi ma solo infettati”. Sulla base dell’esperienza di molti medici, inoltre, sottolineano come “il maggior problema che quotidianamente dobbiamo affrontare è la paura di un rimpatrio forzato, che tiene lontani gli immigrati dai servizi sanitari e consente la diffusione dei bacilli nell’aria che respiriamo tutti. Potremmo dirle, infine, che questo è un problema che conosciamo da più di 20 anni, che affrontiamo con le conoscenze che abbiamo e le forze che la politica ci mette a disposizione”.
Come dire: il problema c’è, e non è nuovo. Inutile quindi creare allarmismi, ancora più inutile – se non demagogico e pericoloso – farlo cavalcando una situazione già difficile, ossia l’accoglienza delle persone che arrivano in Italia. Necessario, invece, che la politica si attivi, intervenendo concretamente. Un invito che il mondo scientifico rivolge a tutti i partiti: “Invitiamo esplicitamente anche tutti gli altri partiti ad interessarsi del problema, magari attraverso una sessione parlamentare per informare e prendere decisioni, formulare strategie e policies nazionali, sostenere le attività internazionali per consentire di curare più facilmente gli immigrati prima che diventino tali”.
Foad Aodi, presidente di Amsi (Associazione Medici di origine Straniera in Italia )e Co-Mai (Comunità del Mondo Arabo in Italia), sposa la posizione assunta dal mondo scientifico, invitando Grillo “a non creare allarmismi non giustificati creando fobie nei confronti degli immigrati”. Inoltre, riportando il lavoro svolto da Amsi, Co-mai e Uniti per Unire in collaborazione con le Asl, Aodi delinea una distinzione tra migranti “integrati senza disagio sociale” e quelli “arrivati in modo irregolare che vivono in Italia con numerosi disagi che vanno da quelli economici, abitativi, lavorativi e sociali [..], che si ammalano dopo il loro arrivo in Italia per le cause elencate, ma non portano malattie dall’estero come le percentuali delle malattie infettivi confermano”.
Quello riportato da Aodi è un aspetto importante: da un punto di vista scientifico, infatti, è ampiamente documentato che “il rischio di importazione di malattie infettive ricollegabile all’immigrazione è trascurabile. Gli esperti parlano di ‘effetto migrante sano‘, una forma di selezione naturale all’origine per cui decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Una volta in Italia gli immigrati, soprattutto in un primo periodo e se in condizione di irregolarità giuridica, vedono progressivamente depauperare il loro patrimonio di salute, a causa della continua esposizione ai fattori di rischio della povertà – precarietà alloggiativa, sovraffollamento, scarsa tutela sul lavoro, alimentazione carente – ai quali si aggiungono il disagio psicologico legato allo sradicamento culturale e le difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari”. Lo affermava Salvatore Geraci (Area sanitaria Caritas Roma; Società Italiana di Medicina delle Migrazioni) nel 2005 (vedi qui). Lo confermava nel 2011 Concetta Mirisola, commissaria dell’Istituto nazionale per la promozione e la salute delle popolazioni migranti (INMP) (vedi qui). E lo indicano rapporti, ricerche, esperti e dossier (per un approfondimento si veda, tra gli altri, qui), pur sottolineando come sia necessario adottare misure di prevenzione e tutela nei confronti di soggetti provenienti da situazioni di conflitti e persecuzioni.
Proprio quello che i medici chiedono alle istituzioni, sollecitando una maggiore collaborazione tra partiti per “trovare soluzioni politiche, senza mai abbassare la guardia, intensificando i controlli e la prevenzione ma senza creare inutili allarmismi”, come sottolineato da Aodi e come richiesto, anche in passato, da tante associazioni e professionisti che con i migranti lavorano quotidianamente, anche in ambito sanitario.
E’ proprio questa attenzione e questa mentalità della prevenzione che sembra mancare, in ambito sanitario come nel più generale sistema di accoglienza. Il punto, ancora una volta, sembra essere l’inerzia della politica.