Si chiama “turismo del welfare” o “turismo previdenziale”, ed è il nuovo motivo di lite sui tavoli dell’Europa unita. Regno Unito, Austria, Olanda e Germania nei giorni scorsi hanno inviato una lettera ai Commissari di Affari Interni e Giustizia, chiedendo di rivedere i “paletti” sulla copertura assistenziale sia medica che sociale per i comunitari che – così diceva la lettera – “non hanno mai lavorato”. Anche se non espressamente citati, l’obiettivo delle lamentele dei quattro paesi europei sarebbero i cittadini bulgari e i rumeni per i quali a partire dal 2014 diventerà integrale la possibilità di movimento all’interno dei confini europei perché Bulgaria e Romania entreranno nello spazio Schengen, traguardo contro il quale hanno lavorato alacremente, ma senza successo, diversi paesi tra cui Germania e Olanda.
In realtà la lettera la prende, per così dire, alla lontana. Ed è stato semplice per il Commissario del Lavoro Laszlo Andor – altro “bersaglio” delle lamentele dei paesi del nord – rispondere per le rime alla missiva: “Si tratta di paure inflazionate – ha detto – non e’ la prima volta che la Germania tocca questo tema” e ha aggiunto: ”Nel Regno Unito già da anni si fanno dichiarazioni di questo tipo”. Il Commissario per il lavoro ha sottolineato che la Commissione ha chiesto a Londra di fornire dati a supporto, ”ma questi dati non arrivano mai”.
Per Andor in realtà ”si anticipano i problemi temuti rispetto all’apertura della libera circolazione per Romania e Bulgaria (prevista per gennaio 2014, ndr), anche quando è già stato dimostrato che i due terzi di chi ha lasciato quei paesi sono andati in Spagna e Italia”.
Se l’Italia finora non si aggiunge al coro delle proteste è solo perché da una parte i problemi sul tavolo sono più urgenti e immediati, e dall’altra perché il sistema del welfare italiano non è così “generoso” – o meglio, garantista – come quello assicurato da altri paesi.
Il fatto, però, è che anche le preoccupazioni di Regno Unito e Germania non vanno lette soltanto come una “guerra contro i poveri”, ovvero contro coloro che non hanno un lavoro, vivono in estrema indigenza e potrebbero decidere di spostarsi verso altri paesi alla ricerca di qualche garanzia in più.
Il fatto è che tutti i paesi europei stanno mostrando una violenta allergia contro il riconoscimento di pari diritti e dignità ai lavoratori dei paesi “stranieri”. La protesta degli Stati europei, d’altronde, arriva a pochi giorni dalla decisione della Svizzera di attivare una clausola di salvaguardia nei confronti dei lavoratori europei, contingentando il rilascio di permessi di lunga durata tanto per i paesi dell’Europa Orientale (Ue-8) che per i paesi dell’Europa occidentale (tra cui l’Italia).
Quindi: si parla dei “poverissimi”, magari lasciando intendere che ci si sta riferendo alle popolazioni rom, approfittando a piene mani del pregiudizio secondo cui i rom non lavorano e vanno in giro per l’Europa ad approfittare di ospedali e assegni sociali. In realtà l’insofferenza è verso cittadini che – stando ai patti di solidarietà che fondano l’Europa unita – hanno tutto il diritto di usufruire dei servizi garantiti dal paese in cui lavorano, al pari dei cittadini “autoctoni”. E’ questo il senso dell’Unione europea. Ma secondo gli stessi paesi fondatori, evidentemente, è un senso un po’ troppo costoso.
Le discriminazioni palesi e concrete nei confronti dei lavoratori europei, d’altronde, sono già in atto. E nelle scorse settimane sono costate all’Inghilterra una denuncia da parte della Commissione europea di fronte alla Corte di giustizia: “La Gran Bretagna discrimina ingiustamente i cittadini di altri stati membri”, scrive la Commissione, e “contravviene alle regole UE sul coordinamento dei sistemi sociali che vietano discriminazioni dirette e indirette nel campo dell’accesso ai benefici della sicurezza sociale”. Sarebbero quasi 30 mila le denunce arrivate alla Commissione da parte di lavoratori che in Gran Bretagna non hanno avuto il riconoscimento di assegni di disoccupazione, familiari, pensionistici anche se ne avrebbero avuto diritto.
Il tutto si iscrive all’interno di un quadro molto complesso, che confonde tante e diverse tipologie di “mobilità”. A fronte di quella più “classica” che prevede l’emigrazione verso un altro paese, sono nati anche altri modi di poter andare a lavorare all’estero. Uno di questi è il distacco comunitario: proprio oggi a Strasburgo i lavoratori dell’edilizia di tutta Europa hanno protestato contro il regolamento di attuazione della direttiva su questo tema. I lavoratori distaccati sono lavoratori comunitari che – per un massimo di due anni – possono andare a lavorare in un altro paese dell’Unione: il loro stipendio viene equiparato a quello del paese di “accoglienza”, ma i loro contributi vengono versati nel paese di provenienza. In realtà molte ditte ne approfittano, e costringono i lavoratori a dichiarare un certo reddito quando nei fatti vengono pagati di meno, perché dal loro stipendio viene scalato vitto, alloggio e trasporto che – secondo la direttiva – dovrebbero essere a carico dell’azienda. I sindacati chiedono un regolamento che imponga maggiori controlli. L’Europa, invece, sembra orientata a concedere maggiore libertà alle aziende.
Poi ci sono casi di contenziosi che riguardano grosse società. Proprio oggi Report Time, la rubrica di Report sul Corriere.it, denuncia il caso della compagnia aerea irlandese Ryanair. I piloti lavorano e vivono in Italia, ma con contratti irlandesi, ed è lì che versano le loro tasse e i loro contributi. In alcuni casi, poi, vengono assunti tramite agenzie interinali che fanno aprire ai lavoratori delle Società a responsabilità limitata (Srl) in paesi a fiscalità agevolata, come Cipro o l’Isola di Mann. Solo che adesso l’Agenzia delle Entrate italiana chiede indietro i soldi di tasse e contributi.
Come si vede, il “turismo del welfare” ha molte facce, a volte anche di “super classe”. Buttare il problema sulle spalle dei lavoratori rumeni e bulgari è il classico esempio di razzismo istituzionale.