Segnaliamo un interessante articolo scritto da Enrico Gargiulo, ricercatore in Sociologia generale presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, pubblicato sul blog dell’Associazione il lavoro culturale, progetto nato nel 2011 nei corridoi e nelle aule dell’Università di Siena, organizzato e interamente gestito da precari della ricerca e dei lavori cognitivi. Gargiulo ritorna su un argomento difficile e quanto mai attuale: quello legato alla forzatura in atto nell’applicazione di alcune presunte politiche di “integrazione” (si rimanda anche a I confini dell’inclusione. La civic integration tra selezione e disciplinamento dei corpi migranti, a cura di V. Carbone, E. Gargiulo e M. Russo Spena, DeriveApprodi, 2018). Riprende il caso della cosiddetta “Accademia dell’Integrazione di Bergamo”, del quale anche noi abbiamo parlato. “Questo modello, scrive Gargiulo, non fa che confermare l’ormai indiscussa equazione tra immigrazione e insicurezza e fa ricorso all’argomento – già impiegato dal PD – del rischio clandestinità connesso alla norma voluta da Salvini. Il sindaco del comune lombardo, nel sostenere che il suo progetto riduce la presenza irregolare in Italia – costituendo quindi una valida alternativa alla clandestinità, e di conseguenza alla criminalità, per quelle persone che non avranno più un permesso per motivi umanitari –, sottolinea, con disappunto, la natura irrealistica delle politiche di espulsione sbandierate dall’attuale ministro: «nonostante le promesse di rispedirli tutti a casa loro, abbiamo verificato che i rimpatri sono una pratica molto difficile». Gargiulo sottolinea che :”Immaginare il rapporto tra persone italiane e straniere al di fuori di una visione che considera gli individui del tutto guidati dalle loro appartenenze culturali e che rappresenta queste appartenenze come rigide, immutabili e chiaramente ordinate in maniera gerarchica – alcune “identità culturali” sono superiori mentre altre sono inferiori – sembra essere quantomai difficile. In altre parole, guardare alle relazioni tra persone di diversa provenienza in termini materiali e non soltanto culturali, considerando quindi il ruolo giocato dalle disuguaglianze economiche, dalle asimmetrie di potere, dal mancato accesso ai servizi, dalla segregazione occupazionale (ecc.) nel determinare o meno la cosiddetta “inclusione”, appare quasi eretico nel dibattito pubblico odierno”.