Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati ha conosciuto nel nostro Paese, in particolare a partire dal 2011, anno in cui fu proclamata dal Governo la cosiddetta “Emergenza Nord Africa” (Ena), significative trasformazioni. Prima di illustrare la sua attuale configurazione, è opportuno ricordare che in quell’anno, per far fronte agli arrivi di circa 62.692 persone dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Africa orientale, fu predisposto un sistema di accoglienza straordinario coordinato dalla Protezione Civile che affiancò il circuito dei Centri di Accoglienza governativi per Richiedenti Asilo (Cara) e quello ordinario rappresentato dalla rete del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) [1]. L’approccio emergenziale che fu adottato nella gestione dell’Ena, caratterizzato da una sostanziale mancanza di programmazione e coordinamento delle diverse forme di accoglienza, ha condizionato in misura significativa l’evoluzione dell’intero sistema di accoglienza italiano negli anni successivi: la proliferazione di centri di grandi dimensioni e l’ingresso nella rete degli enti gestori di soggetti privi della necessaria esperienza risalgono infatti per lo più a questo periodo.
Un’ulteriore trasformazione è avvenuta a partire dall’inizio del 2014, quando il nuovo aumento degli arrivi di richiedenti asilo, in un contesto di saturazione dei Cara e dello Sprar, ha indotto il ministero dell’Interno a incaricare le Prefetture dell’attivazione di Centri di Accoglienza Straordinari (Cas). A partire dall’8 gennaio 2014, con un susseguirsi di numerose circolari ministeriali, il ministero dell’Interno ha continuato a richiedere alle Prefetture l’ampliamento del sistema di accoglienza straordinario, prassi che come vedremo è proseguita sino ad oggi.[2]
Ciò è avvenuto benché l’obiettivo di superare la logica emergenziale nelle politiche di accoglienza sia stato assunto in modo strutturale nel “Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari”, adottato in sede di Conferenza Unificata dal Governo, dalle Regioni e dagli enti locali il 10 luglio 2014.[3] Di fronte ai significativi arrivi di migranti registrati nel 2014, l’intesa si propose infatti, almeno a livello programmatico, di sviluppare una “leale” collaborazione interistituzionale tra Governo, Regioni, Province e Comuni e di strutturare il sistema di accoglienza in tre livelli (primo soccorso e accoglienza, prima accoglienza e seconda accoglienza). Si considerava infatti che “La gestione dell’accoglienza diffusa, tramite le prefetture e senza il coinvolgimento dei territori, rischia di creare disagi e tensioni”. Oltre all’aumento delle risorse destinate al mantenimento del sistema, l’accordo prevedeva, in corrispondenza dei nuovi flussi, una distribuzione dei migranti su tutto il territorio nazionale seguendo criteri di ripartizione regionale commisurati alla quota di accesso al Fondo nazionale per le politiche sociali.
Parallelamente, a partire dal luglio 2013, era intanto iniziato il processo di ampliamento della rete Sprar, gestito sia tramite la richiesta di “posti aggiuntivi” di accoglienza rivolta agli enti locali già aderenti alla rete, sia attraverso la pubblicazione di bandi pubblici finalizzati a consentire la presentazione di nuovi progetti. Una modifica molto più rilevante del sistema di funzionamento dello Sprar, potenzialmente suscettibile di porre finalmente le basi per il consolidamento di un sistema di accoglienza ordinario e omogeneo sul territorio nazionale è, come vedremo, recentissima.
A seguito dell’approvazione, il 13 maggio 2015, dell’Agenda europea sull’immigrazione da parte della Commissione Europea, della conseguente adozione da parte del Governo italiano di una “Road map” e dell’approvazione del Dlgs. 142/2015, entrato in vigore il 30 settembre 2015,[4] il sistema di accoglienza è stato così delineato.
I Cpsa e gli Hot-spot
Il primo livello è quello del primo soccorso e assistenza prestato nelle zone maggiormente interessate dagli sbarchi. Qui dovrebbero essere offerti i servizi di primissima accoglienza, realizzato un primo screening sanitario e svolte le attività di identificazione dei migranti. Questa funzione rimane, in base all’art.8, in capo ai Cpsa (Centri di Primo Soccorso e Assistenza) istituiti dalla legge 563/1995 meglio nota come legge Puglia.
In realtà con l’adozione della Road map, a tali centri si sono sovrapposti gli Hot-spot, strutture volute dalla Commissione Europea. Oggi sono operativi quelli di Lampedusa (ex Cpsa), Taranto, Pozzallo e Trapani (ex Cie). Gli Hot-spot, come hanno denunciato alcune organizzazioni umanitarie,[5] non hanno un quadro giuridico di riferimento: la loro funzione precipua è quella di identificare i migranti e di selezionare le persone che intendono richiedere protezione internazionale rispetto ai cosiddetti migranti economici. Si tratta di strutture chiuse, difficilmente accessibili alle organizzazioni di tutela dei richiedenti asilo e agli organi di stampa. Al loro interno opera personale Unhcr, Easo e Oim, ma anche di Frontex.
I centri di prima accoglienza (o hub)
L’art. 9 del Dlgs. 142/2015 disciplina i “Centri di prima accoglienza” la cui funzione è quella di accogliere i cittadini stranieri già sottoposti alle procedure di fotosegnalamento per il tempo necessario all’espletamento delle procedure di identificazione, la definizione del loro status giuridico, la verbalizzazione della domanda di asilo e l’avvio della procedura di esame della domanda. Si tratta di strutture regionali o interregionali che nel Piano approvato il 10 luglio 2014 in Conferenza Unificata erano denominate hub: le persone possono uscire dai centri nell’orario diurno. Per il loro approntamento è previsto l’utilizzo anche di ex caserme; la loro gestione può essere affidata a “enti locali, anche associati, alle unioni o consorzi di Comuni, ad enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza ai richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell’assistenza sociale”. I 16 Cara governativi esistenti dovrebbero essere destinati a svolgere questa funzione.[6] Attualmente i Cara di Bari, Crotone, Roma e Siculiana sono specificamente destinati ad accogliere i richiedenti asilo che hanno aderito al programma di ricollocazione varato dalla Commissione Europea e sono dunque disponibili ad essere trasferiti in un altro Paese europeo.
I centri Sprar
L’art. 14 Dlgs. 142/2015 identifica il sistema di seconda accoglienza territoriale con lo Sprar stabilendo che possano accedervi i richiedenti asilo che ne facciano richiesta, purché abbiano già formalizzato la domanda di protezione e non dispongano di un reddito sufficiente (identificato con l’importo dell’assegno sociale). Lo Sprar, è costituito da una rete di enti locali che in collaborazione con le organizzazioni di terzo settore, promuovono progetti di accoglienza integrata finalizzata all’inserimento sociale ed economico dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale. L’accoglienza è garantita per l’intera durata del procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e, in caso di rigetto, fino alla scadenza del termine per l’impugnazione della decisione. Nel 2015 lo Sprar si è articolato in 430 progetti territoriali promossi da 339 Comuni, 29 Province e 8 Unioni di Comuni in 10 Regioni. Le persone accolte nel corso dell’anno sono state 29.761.[7] I progetti attualmente in corso scadono il prossimo 31 dicembre. L’8 agosto il ministro dell’Interno ha pubblicato un decreto che riforma il sistema di accesso e di funzionamento della rete.
Le strutture temporanee (o Cas)
Nel caso in cui si verifichino “arrivi ravvicinati e consistenti di richiedenti” e non sia possibile accoglierli nei centri di prima accoglienza o nella rete Sprar, l’art.11 del Dlgs. 142/2015 prevede l’approntamento di misure straordinarie di accoglienza in “strutture temporanee” su disposizione delle Prefetture, “sentito l’ente locale nel cui territorio è situata la struttura” e con regolare procedura di gara pubblica. Ma nei casi di estrema urgenza, è consentito il ricorso a procedure di affidamento diretto. Sono, queste strutture temporanee, i Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) in cui l’accoglienza dovrebbe essere limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento dei richiedenti asilo nei centri di prima accoglienza ex art. 9 o nei centri Sprar.
Il trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione
Oltre a delineare il sistema di accoglienza, il dlgs. 142/2015, Art. 6, inasprisce le ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo nei Centri di Identificazione ed Espulsione portando il periodo di permanenza massima a 12 mesi. Il trattenimento può essere disposto dal Questore quando il richiedente protezione internazionale ha commesso reati gravi; costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato o è considerato pericoloso socialmente; ha presentato la domanda dopo essere stato colpito da provvedimento di espulsione trovandosi già in stato di detenzione oppure è considerato a “rischio di fuga”.
La distinzione tra le caratteristiche e le funzioni delle diverse tipologie di centri delineata a livello legislativo, nella realtà tende a dissolversi. Al di là del vero e proprio vuoto normativo che caratterizza gli Hot-spot, la permanenza di una domanda di accoglienza superiore alla capacità di ricezione del sistema e i tempi lunghi della procedura riconoscimento della protezione fanno sì che la distribuzione dei richiedenti asilo nelle diverse tipologie di centri dipenda più dalla disponibilità effettiva di accoglienza che dalla fase della procedura di asilo in cui si trovano i richiedenti. Ma l’aspetto più rilevante è che, nonostante gli indubbi sforzi compiuti a livello programmatico, a tutt’oggi l’accoglienza dei richiedenti asilo è nel nostro paese gestita in grandissima parte con l’allestimento di strutture temporanee da parte delle Prefetture.
Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Interno l’31 dicembre 2016, le persone accolte sono complessivamente in Italia 176.554: 137.218, il 77%, si trovano nelle strutture di accoglienza temporanee (Cas).[8]
* Testo tratto, con un piccolo aggiornamento sui dati, dal rapporto Il mondo di dentro. Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati a Roma curato da Lunaria.
[1] Per un approfondimento relativo alla gestione di questa fase si vedano M.S. Olivieri, L’accoglienza frantumata sotto il peso dell'”emergenza” in Lunaria, Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia, 2011, pp. 35-44, disponibile qui e Lunaria, I diritti non sono un costo, Le risorse stanziate per la cosiddetta “emergenza Nord-Africa“, 2013, pp. 91-101, disponibile qui.
[2] Gli avvisi relativi ai bandi o alle manifestazioni di interesse pubblicati dalla Prefettura di Roma da noi esaminati citano le circolari del 20 e 27 giugno 2014, del 13 aprile 2015, del 4 maggio 2015, del 27 maggio 2015, del 13 agosto 2015, del 23 giugno 2016, del 28 luglio 2016 e del 30 agosto 2016. La circolare dell’8 gennaio 2014 e quella del 20 marzo 2014 sono reperibili cliccando qui.
[3] Il testo dell’accordo è disponibile qui.
[4] Il Dlgs 142/2015, disponibile qui, ha recepito la Direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
[5] Tra queste Asgi, Oxfam e la campagna Lasciatecientrare.
[6] I Cara sono stati istituiti nel 2002 con la denominazione di Centri di Identificazione e Asilo, l’attuale denominazione si deve al Dlgs. n. 25/2008. Sono strutture preposte all’accoglienza di persone che hanno già manifestato la volontà di chiedere asilo per il tempo necessario a effettuare le procedure di identificazione e formalizzare la domanda di protezione internazionale.
[7] Si veda: Anci, ministero dell’Interno, Rapporto annuale Sprar, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Atlante Sprar 2015,
[8] Gli aggiornamenti statistici pubblicati dal ministero dell’Interno sono disponibili qui.