Contrazione dei servizi per i beneficiari, prevalenza dei grandi centri a scapito di quelli più piccoli e difficoltà delle Prefetture ad assegnare i posti in accoglienza. A due anni dai decreti sicurezza e dal relativo capitolato, un nuovo dossier curato da ActionAid e Openpolis mette a fuoco i danni prodotti dai decreti sul sistema accoglienza.
La scarsa pressione migratoria, dovuta alla drastica riduzione del numero di arrivi dalla seconda metà del 2017, non ha funzionato da incentivo per migliorare il sistema di accoglienza ordinario (ex-Sprar). Si è andati anzi verso un’opera di progressiva demolizione dei servizi di seconda accoglienza. L’abolizione della protezione umanitaria infatti ha consegnato all’irregolarità persone che prima avevano accesso a una forma di protezione e a determinati diritti e lo Sprar, trasformato in Siproimi, ha limitato l’accoglienza ai soli titolari di protezione internazionale, escludendo, così, oltre che i titolari di protezione umanitaria, anche i richiedenti asilo. Allo stesso tempo i Cas sono stati trasformati in enormi sale d’aspetto in cui i migranti attendono l’esito della loro domanda, esclusi da qualsiasi percorso di inclusione sociale. Il risultato è un’accoglienza ai minimi termini, limitata al vitto e all’alloggio, in cui viene meno qualsiasi forma di accompagnamento all’autonomia.
Gli effetti del decreto e del capitolato, oltre che lesivi dei diritti delle persone accolte, si sono rivelati fallimentari anche da un punto di vista pratico. Circa un terzo delle prefetture italiane infatti ha riscontrato problemi nell’assegnazione della gestione dei servizi di accoglienza. Dall’entrata in vigore del decreto-legge n.113/2018 molti bandi sono andati deserti o comunque non hanno garantito un numero insufficiente di operatori per coprire i posti necessari. In ben 34 prefetture è stato necessario riproporre il bando.
Le ragioni di queste difficoltà da parte delle prefetture nell’assegnare i posti in accoglienza vanno ricercate nei tagli ai costi e ai servizi previsti dal capitolato di appalto modificato nel 2018. Tagli che hanno penalizzato l’accoglienza diffusa in unità abitative a favore dei grandi centri, gli unici in cui è possibile effettuare economie di scala. I piccoli gestori, infatti, hanno finito spesso per disertare i bandi per ragioni sia economiche che etiche. Oltre alle evidenti difficoltà di gestione dovute alla decurtazione dei finanziamenti, molte realtà del settore sociale non hanno ritenuto opportuno candidarsi a gestire la mera accoglienza materiale (vitto e alloggio). Di conseguenza, enti dichiaratamente a scopo di lucro, disposti a gestire centri ridotti a meri dormitori hanno finito per guadagnare terreno nel mondo dell’accoglienza.
Le indicazioni fornite nella circolare del 2020 del ministero degli interni non hanno fatto che aggravare la situazione. In primis la possibilità di ripetere il bando cambiando la tipologia di centro: se ad esempio le unità abitative in accoglienza diffusa risultano difficilmente assegnabili si possono proporre nuove gare per grandi centri. In secondo luogo, si consigliava di rendere meno stringenti i requisiti di accesso alla gara. Gestori con scarsa vocazione sociale, in un primo momento considerati poco idonei, sono così divenuti candidati ammissibili. Ancora una volta al centro non sono le persone e i loro diritti ma il loro controllo. Con la conseguenza di abbassare ancora la qualità del servizio, ridurre gli strumenti per l’autonomia e rendere inutili le competenze nella tutela e promozione dei diritti umani di molte realtà del terzo settore.
I decreti voluti dal precedente Governo di fatto hanno finito per incentivare i modelli dei grandi centri presenti al sud e per danneggiare i modelli virtuosi di accoglienza diffusa del nord Italia, specialmente del nord-est, nonostante gli sforzi compiuti dalle prefetture locali di mantenerne l’assetto precedente. Grandi centri che durante l’emergenza Covid-19 hanno dimostrato tutte le loro falle. Stipare centinaia di persone in spazi ridotti, che siano Cas, Cara o Cpr, derogando a tutte le disposizioni igieniche previste, aumenta esponenzialmente il rischio del contagio tra gli ospiti, tra gli operatori e, a cascata, sulla comunità adiacente. Rischi che, anche in virtù del basso numero di nuovi arrivi, si sarebbe potuto evitare accogliendo i richiedenti asilo in strutture più piccole e distribuite in maniera uniforme sul territorio. Se infatti l’Italia chiede un ricollocamento europeo dei richiedenti asilo appena arrivati, lo stesso andrebbe e potrebbe essere fatto sul territorio nazionale. A mancare però è un piano di coordinamento centrale le cui carenze sono occultate da una narrazione disonesta che racconta gli effetti omettendo le cause.
In estate si è parlato delle zone di confine, della Sicilia e del Friuli, dei centri strapieni, della minaccia per la salute pubblica, di un’invasione di cui la pandemia metteva in luce gli effetti nefasti. Quello che la maggioranza dei media si è dimenticata di riferire è che non esisteva nessuna emergenza in corso, che le prefetture di mezza Italia contavano centinaia di posti in accoglienza non assegnati e che questi enormi contenitori ad alto rischio contagio erano il risultato di più di due anni di politiche di accoglienza miopi.
Il 5 ottobre il governo ha varato un decreto in cui vengono rivisti molti aspetti del d.l. n.113/2018. Nonostante la permanenza di diverse criticità, il ripristino della protezione umanitaria e il tentativo di reindirizzare lo Sprar/Siproimi (ora Sai) verso un modello a titolarità pubblica in micro-accoglienza diffusa, rappresentano, secondo ActionAid e Openpolis, evidenti passi in avanti. Ma un’ulteriore svolta dovrà venire dal nuovo capitolato di gara che dovrà ridefinire i costi e i servizi da erogare nei Cas e nei centri governativi. Per valorizzare di nuovo i piccoli gestori e le relative competenze servirà una revisione sostanziale del documento. Dopo anni in cui l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo è stata gestita come un’emergenza sarà fondamentale che le riforme di settore puntino, secondo gli autori del dossier, “sull’analisi dei fatti mettendo al centro i dirittie agevolando l’inclusione dei richiedenti asilo nel tessuto sociale.”
Impossibile non essere d’accordo.