Sono passati due anni da quando il Governo italiano ha varato la “Strategia Nazionale di Inclusione”, che chiedeva di superare il binomio segregazione nei campi / allontanamenti forzati, e che sembrava aprire una nuova stagione nelle politiche in materia di rom e sinti. Eppure, a vederla “dal basso” – da quel che accade nelle grandi e piccole città, nei territori, nelle amministrazioni locali – sembra davvero di essere tornati al punto di partenza.
Lo scrive Sergio Bontempelli, in un’analisi precisa sull’attuale situazione e sugli sgomberi forzati portati avanti in diverse città italiane.
Di seguito l’articolo “Il ritorno degli sgomberi”, pubblicato su Corriere delle migrazioni.
Il ritorno degli sgomberi
Milano e Roma, ma anche città piccole come Pisa: le amministrazioni comunali tornano a sgomberare i campi rom. Come se non fosse cambiato nulla in questi anni
Violano i diritti umani e alimentano l’emarginazione dei rom e dei sinti. Costano cifre astronomiche (pagate dai contribuenti) e non producono risultati apprezzabili. Sono vietati dalle norme internazionali sul diritto all’alloggio, e di recente sono stati “messi al bando” anche dall’Unione Europea. Le nuove politiche del governo italiano, sintetizzate nella “Strategia Nazionale di Inclusione delle popolazioni rom”, suggeriscono di evitarli, e propongono strade alternative.
Insomma, gli sgomberi dei campi rom sono – per usare un eufemismo – “vivamente sconsigliati”. E per la verità sembravano anche passati di moda, dopo l’uscita di scena dei loro principali sostenitori nei “palazzi che contano”: Gianni Alemanno al Campidoglio, Letizia Moratti a Palazzo Marino e Roberto Maroni al Viminale. E invece, da qualche settimana la moda sembra tornata. In grande stile.
Roma e il “metodo del rigore”
Le ultime notizie vengono dalla Capitale. Mercoledì scorso, alle prime luci dell’alba, è iniziato lo sgombero forzato nel campo di Via Belmonte Castello, alla periferia est della città: 20 famiglie rom, tra cui 40 bambini tra 0 e 12 anni, sono state allontanate con la forza dall’area. Secondo la denuncia di Associazione 21 Luglio e Popica Onlus, l’intervento rappresenta «una grave violazione dei diritti umani».
«L’azione», spiegano le due associazioni, «non è stata accompagnata da una genuina consultazione con gli interessati né dalla valutazione di adeguate alternative allo sgombero. Non si è proceduto a dare un preavviso congruo e ragionevole alle persone coinvolte. A causa dello sgombero, inoltre, i bambini interrompono il loro percorso scolastico e le famiglie rom vengono rese ancora più vulnerabili».
A dir la verità, la Giunta Marino non è nuova a queste imprese. Già nel Settembre scorso il Campidoglio aveva fatto eseguire quello che era stato definito “il primo sgombero della nuova amministrazione”: 35 nuclei familiari erano stati allontanati dal campo di Via Salviati. Da allora si sono registrati diversi sgomberi, nei campi di Colle Oppio, Casal Bertone, Cesarina…
A sentire il primo cittadino, la sequenza di azioni “muscolari” si deve al nuovissimo metodo partorito dalla sua Giunta: il “metodo del rigore”. «Non possiamo tollerare situazioni di insediamenti abusivi», ha spiegato lo stesso Marino il 24 Gennaio scorso, durante una trasmissione radiofonica, «nei prossimi mesi useremo un metodo di rigore. Useremo tutti gli strumenti legittimi per allontanare i rom».
Cosa ci sia di nuovo, nel “metodo del rigore”, rimane un mistero: il “pugno di ferro” contro i rom era una vera e propria mania di Gianni Alemanno, il predecessore di Ignazio Marino. E difatti l’Associazione 21 Luglio non esita a parlare di vera e propria “continuità” con la passata amministrazione.
Sgomberi a Milano
Anche a Milano gli sgomberi non sembrano passati di moda. La scorsa settimana, tra Martedì e Mercoledì, un’azione congiunta delle forze dell’ordine – Carabinieri, Polizia e vigili urbani – ha definitivamente chiuso il campo di Via Selvanesco. L’area era già stata sgomberata nel Novembre scorso, il Comune aveva chiuso tutti gli accessi ma due gruppi di rom (una quarantina tra romeni e bosniaci) continuavano a dormire di nascosto al campo. Tra l’altro il terreno era di proprietà degli stessi rom: lo sgombero non era stato motivato dall’occupazione “abusiva” dello spazio, ma da ragioni igienico-sanitarie e dalla presenza di manufatti (baracche, roulotte ecc.) in violazione delle norme urbanistiche.
Nel capoluogo lombardo, peraltro, la Giunta Pisapia non ha mai smesso di sgomberare. Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e Coesione Sociale, va dicendo da tempo che le cose sono cambiate rispetto all’era Moratti, che – certo – gli sgomberi ci sono, ma che il Comune garantisce ai rom delle soluzioni alternative dignitose. Le associazioni, però, sono di tutt’altro avviso. E negli ultimi mesi hanno lanciato accuse pesantissime contro l’operato di Palazzo Marino.
Alla fine di Novembre, ad esempio, la chiusura del campo di Via Montefeltro ha suscitato le proteste del Naga, storica associazione milanese, e anche quelle dell’European Roma Rights Center (Errc), una Ong internazionale con sede a Budapest. «Si è proceduto ad uno sgombero di più di 700 persone», accusava il Naga, «sapendo già che gran parte di queste non potranno accedere ad alcun alloggio: i posti messi a disposizione dall’amministrazione comunale sono infatti appena 200».
Grandi e piccole città: il caso di Pisa
Gli sgomberi non avvengono solo nelle grandi città: per restare ai fatti della scorsa settimana, c’è da segnalare anche l’ordinanza emanata dal Sindaco di Pisa Marco Filippeschi. Negli anni passati, gli sgomberi erano una prassi quotidiana all’ombra della Torre Pendente: ma da qualche tempo le ambizioni “muscolari” della Giunta targata Pd si erano un po’ ridimensionate.
Nei giorni scorsi, il primo cittadino è tornato all’attacco, e stavolta ha preso di mira il campo di Coltano. Si tratta, per la verità, dell’unico insediamento autorizzato della città, che in tempi recenti era stato trasformato in un “villaggio”: al posto delle baracche e delle roulotte, il Comune aveva fatto costruire delle “casette”, in modo da rendere più dignitoso lo spazio. Come spesso accade in questi casi, non tutti i rom erano stati autorizzati a entrare nella nuova area attrezzata, e alcune famiglie si erano sistemate nei terreni circostanti: così, accanto al “villaggio” era sorto il “campo”, ovviamente non autorizzato.
Da tempo si discuteva di una possibile soluzione per tutte le famiglie, e dunque dell’inserimento abitativo dei nuclei confinati nel “campo”. Ma la Giunta comunale ha scelto la strada consueta: quella dell’allontanamento forzato. «Quattro nuclei verranno sgomberati», accusano Africa Insieme e Rebeldia, due sigle da sempre impegnate a fianco dei rom, «ma solo a due di questi è stata proposta una dignitosa soluzione abitativa. Le altre famiglie – nelle quali vi sono anche bambini – dovranno allontanarsi».
Peraltro, le associazioni accusano il Comune di non aver voluto trovare soluzioni: «La Regione Toscana», dicono, «ha creato tavoli di lavoro con gli enti locali per scongiurare gli sgomberi forzati. Vi sono fondi europei stanziati per progetti validi e innovativi, e già alcune città toscane hanno avuto accesso a questi fondi. Il Comune di Pisa non ha presentato alcun progetto ed è oggi il fanalino di coda delle politiche sociali sui rom, sia a livello regionale che nazionale».
Il gioco dell’oca
Sono passati due anni da quando il Governo italiano ha varato la “Strategia Nazionale di Inclusione”, che chiedeva di superare il binomio segregazione nei campi / allontanamenti forzati, e che sembrava aprire una nuova stagione nelle politiche in materia di rom e sinti. Eppure, a vederla “dal basso” – da quel che accade nelle grandi e piccole città, nei territori, nelle amministrazioni locali – sembra davvero di essere tornati al punto di partenza. Come in un assurdo gioco dell’oca.
Sergio Bontempelli