L’onorevole Magdi Cristiano Allam ha inviato ieri una lettera ai colleghi presenti nel parlamento europeo e in quello nazionale invitandoli a sottoscrivere una petizione che richiede le dimissioni della Ministra Cécile Kyenge. In quanto autodefinitasi italo-congolese, la Ministra non aderirebbe “all’identità nazionale italiana in modo integrale ed esclusivo” e dunque incarnerebbe “lo stravolgimento della nostra cultura e della nostra tradizione circa il concetto di cittadinanza, di società, di Patria e di nazione.”
Il contenuto della lettera che potete leggere qui è gravissimo ed è ancora più grave che sia stato scritto da una persona che riveste una carica istituzionale.
Sui concetti di identità, di cultura e di cittadinanza così come proposti da Allam (una sorta di monoliti inossidabili definiti una volta per tutte e considerati impermeabili ai mutamenti storici, politici e sociali) ci sarebbe molto da commentare, ma non è questo su cui qui voglio soffermarmi.
E’ invece ormai indispensabile qualche considerazione di contesto sul rigurgito di razzismo che si è scatenato in occasione della nomina della nuova ministra.
Un rigurgito assolutamente prevedibile, direi quasi scontato. Sorprende invece di più la tiepidezza delle dichiarazioni di solidarietà alla Ministra diffuse dai membri del Governo, per giunta accompagnate da pronunciamenti di carattere politico che hanno il sapore amaro di un ritorno del dibattito pubblico sulle migrazioni e la cittadinanza indietro nel tempo, come minimo di tre anni.
E allora la solidarietà alla ministra Kyenge, che va ribadita e condivisa il più possibile (uno dei molti modi per farlo lo trovate qui), rischia di ottenebrare alcuni elementi di fondo che dovrebbero invece essere tenuti ben presenti se, davvero, l’obiettivo è quello di estendere nel nostro paese una cultura diffusa dei diritti di cittadinanza universalistica e non discriminatoria.
1. Sin dalla fase di costituzione del comitato promotore della campagna “L’Italia sono anch’io” (maggio-giugno 2011), che ha raccolto più di 200.000 firme su due proposte di legge di iniziativa popolare per la riforma della legge sulla cittadinanza e per l’introduzione del diritto di voto amministrativo dei migranti provenienti da paesi terzi, autorevoli esponenti del Partito Democratico dichiararono che il primo atto del nuovo consiglio dei ministri sarebbe stato quello di sostenere l’approvazione di una riforma sulla cittadinanza. E’ evidente che la composizione del Governo in carica non è quella che immaginavano allora gli esponenti del PD. Ma è altrettanto chiaro che se il PD volesse potrebbe mantenere il suo impegno cercando in Parlamento i voti esterni alla maggioranza. PD, SEL, Lista Civica per Monti e M5S da soli potrebbero garantire l’approvazione di una legge sulla cittadinanza che non snaturi il significato di quelle 200.000 firme.
2. Se questo è vero, il rinvio a uno “ius culturae”, neologismo coniato dall’ex Ministro dell’Integrazione Riccardi e purtroppo adottato anche dal Presidente del Senato, privo di qualsiasi fondamento giuridico, o a uno “ius soli temperato”, preferito da Fini ma sempre più richiamato da vari esponenti del PD nelle ultime ore, non è un espediente indispensabile per consentire l’approvazione di una riforma attesa da ormai 20 anni e sulla quale, secondo gli ultimi sondaggi, sono d’accordo 8 italiani su 10. E’ semmai la cartina tornasole di quel sottofondo di “diffidenza e sospetto” che caratterizza ancora oggi larga parte del ceto politico quando si confronta con la presenza dei migranti nel nostro paese, partito democratico compreso. Ragion per cui la “cautela”, la “prudenza” e via dicendo “sono sempre d’obbligo” quando la politica si occupa dei migranti.
3. Esemplare da questo punto di vista la dichiarazione rilasciata dal Presidente del Senato Grasso durante una trasmissione radiofonica di grande ascolto: “Non possiamo fare in modo che l’Italia diventi un Paese dove sbarcano le puerpere per ottenere la cittadinanza italiana dei figli”. Una frase che richiama sin troppo bene il titolo di un articolo vergognoso pubblicato da Libero nel dicembre 2011, in cui sessismo e razzismo si tenevano per mano, e parole analoghe pronunciate in Parlamento contro l’approvazione di una tale riforma da parte di esponenti della Lega Nord e del PDL.
4. Ma il Presidente del Senato non è l’unico a richiamare la ministra all’”Integrazione” a una maggiore “prudenza”. Il Presidente del Consiglio Letta, sempre nel corso di una trasmissione di grande ascolto, questa volta televisiva, ha fatto capire che l’approvazione di una legge sulla cittadinanza non è nel programma di governo e che pur essendo questo “un tema che gli sta a cuore”, “non può fare miracoli”. In sintesi: sarà molto difficile trovare un accordo con il Pdl in Parlamento su questa materia né il Presidente del Consiglio intende fare forzature: “le emergenze sociali del paese sono altre”. Cambia la forma ma non la sostanza rispetto alla frase pronunciata dal suo predecessore alla vigilia di una conferenza organizzata alla Camera su questa materia dall’allora Presidente Fini in collaborazione con L’Italia sono anch’io nel giugno scorso. Monti rivolse un chiaro invito alle forze parlamentari favorevoli alla riforma a riflettere bene sui “rischi” che una tale discussione avrebbe potuto comportare sulla stabilità della maggioranza in Parlamento. Invito che contribuì, insieme all’ostruzionismo delle destre, a bloccare la discussione delle numerose proposte di legge giacenti in materia in Commissione Affari Costituzionali.
5. E qui veniamo al punto. La distanza ormai enorme tra chi riveste un ruolo istituzionale e il paese reale si esprime, per fortuna, anche con riguardo alla presenza dei migranti nelle nostre città. La società italiana è molto più avanzata di quanto non lo siano i suoi governanti. Siamo convinti che gli insulti alla Borghezio, le minacce alla Forza Nuova, gli attacchi sessisti e razzisti di cui sono vittime la Presidente della Camera e la Ministra Kyenge sono patrimonio di una minoranza, sia pure molto chiassosa. Il problema è quello di rendere visibile e di riuscire a far contare quella grandissima parte di opinione pubblica che rivendica i diritti di cittadinanza per tutti e che non trova in Parlamento una rappresentanza adeguata. Affinché questo avvenga è necessario su questo come su molti altri temi che la società civile si riorganizzi e torni, se necessario, anche a scendere in piazza e che parallelamente migranti, associazioni, sindacati e movimenti sociali, insieme agli intellettuali disponibili a mettersi in gioco, portino avanti un sistematico e capillare lavoro culturale (sul web, nelle scuole, nelle università, nei centri giovanili, nelle parrocchie, nelle case del popolo rimaste, nei comitati di quartiere, nelle fabbriche ecc, ecc,) per elaborare una “pedagogia antirazzista di massa” (il concetto non è mio ma è mutuato rovesciato da Annamaria Rivera “Regole e roghi, Edizioni Dedalo, 2009).
Post scriptum
Come non detto, la situazione è ancora peggiore di quella sopra descritta.
E’ di qualche minuto fa il post pubblicato da Grillo nel suo blog:
“In Europa non è presente, se non con alcune eccezioni estremamente regolamentate, lo ius soli. Dalle dichiarazioni della sinistra che la trionferà (ma sempre a spese degli italiani) non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano. Lo ius soli se si è nati in Italia da genitori stranieri e si risiede ininterrottamente fino a 18 anni è già un fatto acquisito. Chi vuole al compimento del 18simo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano. Questa regola può naturalmente essere cambiata, ma solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita. Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente. Inoltre, ancor prima del referendum, lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della UE. Chi entra in Italia, infatti, entra in Europa”.
Grillo evidentemente non sa che è stata già promossa una legge di iniziativa popolare su questo tema l’anno scorso sulla quale sono state raccolte più di 100.000 firme. L’utilizzo dello strumento referendario su materie delicate e complesse come queste a noi sembra assolutamente inappropriato.
Il punto 5 di cui sopra assume una rilevanza ancora maggiore.