E’ il 29 giugno. A seguito degli attentati terroristici in Tunisia, Francia, Somalia e Kuwait, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in un’intervista al sito stranieriinitalia.it dichiara: “Evitiamo di importare in Italia un problema che oggi non abbiamo: basta immigrazione e soprattutto basta immigrazione da paesi musulmani. La (piccola) quota di immigrati che reputiamo necessaria prendiamola da quei popoli che hanno dimostrato di non essere violenti”. E propone anche una sorta di lista di popoli a suo dire “sicuri”: “Non mi risulta ci siano casi di terrorismo collegato ai filippini, agli argentini, agli ucraini, ai peruviani”. Le dichiarazioni vengono segnalate all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni “Razziali” (Unar) che, il 30 luglio, procede con una lettera di “monito”.
Meloni, tuttavia, non è nuova a questo tipo di esternazioni pubbliche a carattere stigmatizzante e discriminatorio (ad esempio, il 10 settembre 2014, scriveva su Facebook: “Francamente penso che l’Italia sia l’unico caso al mondo di una Nazione che – pur consapevole di essere nel mirino di terroristi – investe risorse sulla sua insicurezza e non sulla sua sicurezza. Continuiamo a usare le navi della nostra Marina militare come traghetti sulla tratta nord Africa – Italia, facendo finta di non sapere che la Libia, ormai, è in mano ai fondamentalisti. E intanto le nostre Forze armate e di sicurezza sono costrette a manifestare per la prima volta nella storia, perchè questo governo continua a umiliarle”, o ancora il 19 febbraio 2015, dichiarava: “Non possiamo consentire a dei terroristi di fare la selezione naturale all’ingresso delle nostre coste: stop totale agli sbarchi dei profughi fino a quando non avremmo sconfitto l’Isis in Libia”).
Il direttore dell’Unar, Marco de Giorgi, scrive alla parlamentare: “Questo ufficio, pur nell’intangibilità del principio di libera manifestazione del pensiero, garantito dalla Costituzione Italiana, e condividendo la preoccupazione relativa alla gestione di un fenomeno così complesso come quello migratorio, ritiene che una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisca un sollecito e adeguato processo di integrazione e coesione sociale (…) Si coglie l’occasione per chiedere di volere considerare in futuro, l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore” .
Giorgia Meloni non ci sta e invia un messaggio a Palazzo Chigi, nel quale afferma che se “una nota del genere fosse stata emessa da un governo di centrodestra nei confronti di un deputato dell’opposizione, sarebbe venuto giù il mondo. Non pretendo che tutti siano d’accordo con il mio pensiero, ma rivendico il diritto di esprimere le mie opinioni in libertà e coscienza. Ciò deve valere per qualunque italiano o italiana”. E aggiunge: “Apprendo solo ora che l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, regolarmente finanziato dallo Stato con le tasse degli italiani, ha il ruolo di censurare le dichiarazioni rese dalle persone e dai membri del Parlamento italiano. Ne sono sconvolta”. Meloni si fa, poi, fotografare imbavagliata e annuncia una “crociata” (tanto per rimanere in tema di lotta all’”invasione musulmana“, ndr) contro la censura, con tanto di hashtag e di campagna Twitter.
Dopo la presa di posizione della segretaria di Fratelli d’Italia, il quotidiano Il Giornale fa la sua parte parlando di un “bavaglio di Stato” e di “censura” (“Censura di Stato sugli immigrati”, 02/09/2015, e “Il bavaglio alla Meloni fa insorgere la rete. Ora il governo indaga”, ilgiornale.it, 03/09/2015).
Il Giornale parla di “ennesima gaffe dell’Ufficio Opinioni Accettabili” e di “alacri censori”.
Coro di proteste anche dai colleghi di alcuni parlamentari, da Ignazio La Russa a Carlo Giovanardi e Roberto Formigoni, Eugenia Roccella (che ricorda quando «lo stesso direttore di oggi, Marco De Giorgi, ha ricevuto una nota formale di demerito per aver diffuso nelle scuole i famosi libretti sul “gender” senza che il governo ne fosse a conoscenza»).
Netta Stefania Prestigiacomo che, da ministro delle Pari opportunità del governo Berlusconi, creò quell’ufficio: «Ne sono fiera, ma è nato per occuparsi di discriminazioni concrete, censurare le opinioni è sbagliato e nel caso di un parlamentare anche inopportuno». “Prosegue l’attività censoria dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni della presidenza del Consigli dei Ministri”, riflette Achille Totaro, deputato di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, “Con questa lettera si fa esercizio arbitrario di potere privo di qualsiasi fondamento costituzionale e democratico”.
Il segretario generale di palazzo Chigi Paolo Aquilanti chiede chiarimenti all’Unar, ricordando l’art.21 della Costituzione in tema di libertà di manifestazione del pensiero e l’art.68 in materia di insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari.
Il fatto è che la Legge del 25 giugno 1993 n.205 (nota come legge Mancino), così come modificata dalla Legge 24 febbraio 2006, n. 85, punisce “con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;”.
Dunque la censura non c’entra niente, si tratta solo di rispettare la legge.