Ho un certo sesto senso: so cogliere i segni di una campagna mediatica e politica.
Le tattiche di “sviamento dell’attenzione” dai temi che per brevità definisco seri (economia, lavoro, diritti, la questione sociale, l’avanzamento delle povertà, l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze) al facile capro espiatorio di turno: soggetti privi di potere e di efficaci capacità di resistenza.
Di solito queste strategie di distrazione di massa sono più frequenti in prossimità delle elezioni, per cui drizzo le antenne.
Dopo aver letto il brillante articolo di Aldo Cazzullo – firma di punta del Corriere della Sera – sul settimanale “Sette” ormai ne ho la certezza: contro i “mendicanti” e gli “accattoni” si sta organizzando una vera e propria battaglia con tratti perfino cruenti.
In ogni battaglia ci sono le punte di sfondamento, gli arieti – i Sindaci di “centrosinistra” che firmano ordinanze e fogli di via – e, mi sia concessa un’abusata metafora calcistica, i ragionatori di centrocampo, alla Cazzullo per intendersi, quelli che danno ordine e geometria al discorso.
Cazzullo, peraltro, è quasi emblematico.
Nel suo articolo – contenuto nella rubrica settimanale da lui tenuta dal titolo piuttosto tranchant “Italia si, Italia no “ (in cui in buona sostanza si dice ciò che è buono e accettabile ed il suo contrario) – prima di prendersela con dei fastidiosi “ambulanti di colore” (il negativo del discorso) – si accredita come “progressista”, “democratico” e “uomo di sinistra” (ovviamente la sinistra “a la page”, quella moderata, riflessiva, dalle unghie curate) loda un progetto di cooperazione che ha come oggetto un villaggio del “Marocco profondo” (chissà a quali profondità sarà rintracciabile questo villaggio….) che si pone un mirabile obiettivo: sostituire la pompa di un pozzo e portarci qualche personal computer.
Roba da dame di carità dei primi del Novecento (se si escludono gli ultimi ritrovati tecnologici) ma che a Cazzullo – e quindi all’“Italia si” – piacciono molto.
Poi, autocertificatosi in dieci righe di melassa e pater noster come “progressista”, attacca (svelando la carie): “Roma, via Montello. Una via lunga cento metri… Caffè al tavolino. In cinque minuti arrivano tra ambulanti di colore (di quale colore, Cazzullo?) a chiedere soldi. Milano, largo la Foppa. In cinque minuti arrivano in quattro. Di solito il primo viene accontentato, gli altri no. Chi rifiuta si sente dire “Fai così perché sono nero”. E’ possibile far notare che tutto questo – il disturbo continuo, il mezzo ricatto a sfondo razziale – è umiliante per chi chiede e per chi si sente chiedere?”.
Certo che si può far notare tutto questo, verrebbe da rispondere a Cazzullo, soprattutto se uno scrive per il Corriere della Sera che ha centinaia di migliaia di lettori, ed ha anche la fortuna (Cazzullo in realtà pensa il merito) di essere bianco, italiano, istruito e ricco.
Più difficile, molto più difficile, è far sentire cosa pensano quei disturbatori della quiete del povero Cazzullo, far emergere il non detto ed il detto di quegli ambulanti: cosa dicono e cosa rivelano della nostra società falsamente ricca ed opulenta, dove la povertà dà fastidio (ed implicitamente è una colpa).
Cazzullo – immerso come di sicuro era, sorseggiando un caffè, nella meditazione intorno all’Italia si e all’Italia no – non ha tempo da perdere in elemosine e rompiscatole (a maggior ragione se di “colore”).
Viene a mente il fardello dell’uomo bianco, che è affare che piega la schiena: doversi preoccupare del “Marocco profondo” senza neppure ricevere un grazie.
Questi “negri” sono proprio irriconoscenti.