Come volevasi dimostrare il caso della piccola Maria, cinque anni, tolta alla sua famiglia rom in Grecia perché “bionda e con gli occhi azzurri”, si sta avviando verso una conclusione che è molto diversa dall’ipotesi “rapimento”, immediatamente suggerita dai media all’opinione pubblica. E non solo dai media, visto che la polizia ha incarcerato i genitori putativi di Maria con l’accusa esplicita di sequestro di persona. A quanto pare però la mamma della bambina si chiama Sasha Ruseva: una donna di 35 anni bulgara che è stata fuori dal suo paese di origine tra il 2008 e il 2010.
La notizia arriva via tv, ma non fa notizia
Il modo in cui si è arrivati a rintracciarla è abbastanza fortuito. La notizia, che ovviamente è stata sulle prime pagine dei giornali e sulle tv di tutta la Grecia, è stata trattata durante la trasmissione televisiva Zougla, un talk show famosissimo e considerato abbastanza scandalistico. Durante la trasmissione qualcuno, telefonando dalla Bulgaria, ha cominciato a mettere i giornalisti di Zougla sulla giusta pista, dicendo che riconosceva quella bambina. Di lì in poi, – che Zougla sia un talk show “scandalistico” o meno – va riconosciuto che i giornalisti della trasmissione hanno fatto un lavoro molto scrupoloso: hanno rintracciato alcuni rom bulgari che potevano fornire informazioni, sono arrivato a capire che la bambina poteva essere nata a Lamia, un paese della Grecia centrale, il 31 gennaio del 2009. Hanno quindi rintracciato il sindaco della città, e persino l’ostetrico che ha assistito al parto. Il resto, partendo da queste informazioni, lo ha fatto l’Interpol che ha rintracciato la donna – che ora vive in Bulgaria – e che ha altri bambini. Sasha Ruseva ha confermato la storia del parto a Lamia, ha detto di aver affidato sua figlia a una coppia di rom perché “non sapevo cosa darle da mangiare”. Secondo le informazioni di Zougla.gr la donna avrebbe successivamente ricevuta una denuncia a Salonicco per un altro tentativo di adozione illegale dopo un parto, ma non ci sono certezze. Sicuramente la storia è difficile, un equilibrio delicatissimo, costruito aldilà di ogni legalità, nell’accordo tra persone ghettizzate e emarginate, che sicuramente preferiscono risolvere così le loro questioni, che consegnare i loro figli a servizi statali verso cui nutrono, generalmente, molta poca fiducia. Sasha Ruseva, che è stata rintracciata in una piccola città bulgara – Gkourkovo – verrà sottoposta al test del Dna per verificare che sia effettivamente la mamma di Maria. Secondo i giornalisti che l’hanno intervistata da quando ha visto quella bambina in tv non vuole più mangiare e dice di rivolerla immediatamente con sé, di essersi pentita…Quali saranno le conseguenze sulla vita della bambina? Che intanto è stata affidata ai servizi sociali, e chissà se prima o poi potrà trovare un po’ di serenità.
Psicosi internazionale
Se la versione della maternità di Sasha Ruseva verrà confermata, ecco che quanto sostenuto dai genitori “adottivi” di Maria risulterà essere vero: in un primo momento avevano detto alla polizia che era loro figli legittima, poi erano stati smentiti dall’esame del Dna. E avevano raccontato la storia: la bambina ci è stata affidata dalla madre, una rom bulgara, che era troppo povera per mantenerla. Avevano confermato la storia anche gli altri rom del campo di Larissa, dove la polizia aveva tirato fuori il “caso” dopo un blitz. Ma niente da fare: per giorni è montato il caso della bambina rapita. Addirittura di un possibile giro di traffico di minori. Per farci che? Ovvio, la solita solfa: per mandarli a fare la carità. Peccato che non esista caso finora dimostrato di una famiglia rom che abbia “rubato” il bambino di qualcun altro. In ogni caso, la leggenda dei rom “ladri di bambini” è dura a morire e la storia della piccola Maria ha fatto letteralmente il giro del mondo. Dando vita a una vera e propria psicosi: sono 10 mila le telefonate arrivate alla polizia greca, dagli Stati uniti, dal Canada, dal Sudafrica, persino dall’Australia. Tutti genitori che hanno perso le loro figlie. Disperazioni che si sommano a disperazioni. Confusione che genera razzismo e ghettizzazione. E inoltre: la storia è piuttosto interessante. Ma ne parlano solo i siti greci e bulgari. Ora che la storia ha trovato una soluzione al di fuori del discorso razzista, sembra che non abbia più una eco internazionale.
La coda velenosa e pericolosa: dall’Irlanda alla Serbia
“Speriamo che questa storia non si riversi su tutti noi”, aveva detto il capo del campo rom di Larissa, Babi Dimitrious, sapendo bene a cosa si riferiva: in questa ultima settimana una coppia di rom in Irlanda si è vista strappare dalla polizia la figlia perché “troppo chiara”. La bambina era stata portata via dalla casa di Tallaght, alla periferia di Dublino, e affidata ai servizi sociali: i genitori, però, avevano contestato la decisione ripetendo che la figlia era loro, anche se non avevano documenti per provarlo. Il Dna ha dato loro ragione. Ma la persecuzione seguita all’enorme “pompaggio” della storia di Maria non ha cessato i suoi velenosi strascichi: l’altro ieri, ancora in Grecia, la polizia ha fermato una coppia rom con un neonato di due mesi e mezzo. Anche in questo caso secondo gli agenti non sarebbe figlio della coppia. E non solo: a Nova Sad, in Serbia, l’altro ieri una coppia di rom è stata aggredita da dei giovani nazi skin in pieno centro. Volevano strappargli il bambino di mano: “Non è vostro figlio”, hanno gridato, secondo il racconto del padre, Stefan “non si rubano i bambini”. E non solo: gli avrebbero offerto 100 euro dicendo “quanto costa un bambino?” (http://www.blic.rs/Vesti/Hronika/414303/Skinhedsi-hteli-da-Romu-otmu-dete-jer-je-svetlije-puti).
Il comunicato dell’Errc
L’organizzazione non governativa Errc è intervenuta con un comunicato sul caso di Maria: “chiediamo ai media di agire in modo responsabile – dice l’associazione con sede a Budapest – specialmente quando i casi non sono chiari e la verità non è stata accertata. Servizi irresponsabili possono avere delle conseguenze gravi sulle famiglie di rom che vivono in tutta Europa, come dimostra il caso serbo in cui due genitori sono stati aggrediti da un gruppo di skinheads. Se le persone accusate in Grecia hanno commesso un reato, e questo deve ancora essere accertato, dovrà essere trattato come un reato individuale, e non essere messo in relazione all’appartenenza etnica di chi lo ha compiuto. I reati non hanno appartenenza etnica, religiosa, nazionale, razziale – scrive l’Errc – la criminalità non ha una appartenenza razziale.Eppure i bambini di origine rom vivono più frequentemente degli altri l’esperienza di essere affidati ai servizi sociali, avere una educazione ghettizzata, ed essere strappati dalle loro famiglie. Ma sono storia che non finiscono in prima pagina. Esortiamo alla moderazione, e invitiamo tutte le autorità locali, i mezzi di comunicazione e altre parti interessate a esaminare i fatti prima di agire”.