Era il gennaio 2018 quando Andrea Crippa, che in quel periodo era leader del Movimento dei giovani Padani e assistente di Matteo Salvini a Bruxelles, pubblicava su Facebook un video “montato” con il solo ed unico scopo di invitare gli utenti a protestare duramente contro un’iniziativa promossa dall’allora direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, a favore dei visitatori arabofoni.
In pochi giorni il post raggiunse milioni di visualizzazioni e numerose furono, purtroppo, le telefonate condite da insulti razzisti, minacce e offese ricevute dal centralino del Museo torinese a cui si aggiunsero feroci attacchi via social.
Il video pubblicato online, oltre ad incitare all’odio, si basava su una telefonata “inscenata” ricca di inesattezze: Crippa chiedeva informazioni a quello che, come è risultato dopo, era un falso centralinista del Museo in merito alla promozione rivolta ai cittadini provenienti da paesi arabi.
In realtà, lo sconto legato all’iniziativa “Fortunato chi parla arabo” che prevedeva due ingressi al prezzo di uno, era rivolto a tutti coloro che conoscevano la lingua araba appunto, a prescindere dal paese di provenienza. Crippa nel video faceva anche riferimento a presunti finanziamenti dello Stato utilizzati per sostenere tale iniziativa ma, contrariamente a quanto da lui affermato, il Museo Egizio non ha ricevuto alcun tipo di supporto economico statale. Come se non bastasse, Crippa, che oggi è deputato e vicesegretario della Lega Nord, aveva anche fatto recapitare al Museo piemontese un poster elettorale pro-Salvini nel quale si leggeva chiaramente lo slogan “Prima gli italiani”.
A causa dell’attacco subito la Fondazione Museo Egizio decise di procedere per vie legali presentando un esposto per verificare l’autenticità della conversazione telefonica.
È di due giorni fa la notizia, riportata sul quotidiano La Stampa, che la sezione civile del Tribunale di Torino ha condannato Andrea Crippa a pagare al Museo Egizio un risarcimento danni pari a 15.000 euro, imponendo la rimozione del video da tutte le piattaforme social (il video è ancora presente su Facebook). Dalla sentenza emessa dal giudice Valeria Di Donato si legge “l’obiettivo era proprio quello di incitare il pubblico social a offendere, insultare il museo […] incitamento all’odio per spingere all’intolleranza con modalità tali da propagarsi in modo efficace”.
Ci fa piacere sapere che questo comportamento sia stato condannato e non abbia subito alcun tipo di sconto. È dovere di ogni politico (a maggior ragione di un deputato della Repubblica) quello di fornire informazioni corrette e veritiere all’opinione pubblica, senza deviarle o manipolarle in favore di una becera ideologia politica discriminatoria.
Iniziative come quella promossa dal Museo Egizio due anni fa andrebbero anzi elogiate: si tratta infatti di un progetto dalla forte valenza culturale che mira a favorire l’inclusione sociale in una città che, come spiega il direttore, Christian Greco, «ha la fortuna di custodire una collezione importantissima, e non può dimenticare il Paese da cui questa proviene».
La cultura appartiene a tutti, è universale e non deve conoscere discriminazioni.