Ha finalmente riabbracciato la madre il “bambino nel trolley”, come è stato definito a livello internazionale. La donna ha infatti avuto il permesso di andare al centro per minori di Ceuta dove suo figlio è ‘in custodia’ dal 7 maggio scorso. Per comprovare la maternità, la signora ha accettato di sottoporsi al test del dna. Nel frattempo il padre, accusato di traffico di esseri umani e tenuto finora in custodia cautelare, è comparso davanti al giudice.
La vicenda è emersa il 7 maggio, quando lo scanner del controllo aeroportuale di Ceuta ha ritratto, tra lo stupore generale, la sagoma di un bambino accovacciato in una valigia trasportata da una 19enne marocchina (ne abbiamo parlato qui). Una fotografia che ha fatto il giro dei media, simbolicamente paragonata a un’ecografia.
Ma la storia di A. inizia prima, quando il padre, professore di francese, decide nel 2007, di lasciare la Costa d’Avorio, sull’orlo di una gravissima crisi politica. L’uomo si imbarca e riesce a raggiungere le Canarie, dove trova un lavoro e ottiene i documenti di regolare soggiorno. Da subito avvia le pratiche per il ricongiungimento dei familiari: riesce a farsi raggiungere dalla moglie e da una figlia. Il bambino, invece, deve rimanere in Costa d’Avorio, accudito da parenti: in base alla legge un uomo deve guadagnare 799 euro per il ricongiungimento del primo membro della famiglia, 266 per ogni altro membro. L’uomo per ricongiungersi con il secondo figlio dovrebbe avere una busta paga di 1331 euro: ma il suo stipendio non arriva a quella cifra. Prova per tre anni, insieme alla moglie, a ottenere il permesso per portare il minore in terra spagnola. Ma la legge è intransigente; e spinge i due genitori a pagare 5000 euro per provare a far arrivare il bambino in Spagna, attraverso la via considerata più sicura rispetto al mare.
Ora il padre del bambino, anch’egli sottoposto al test del dna, è in carcere in attesa di giudizio, così come la ragazza marocchina che trasportava la valigia. Entrambi sono accusati di traffico di esseri umani: un reato per cui è prevista la depenalizzazione con l’entrata in vigore il 1 luglio della riforma del Codice Penale promossa dal Partito Popolare. Lo ha sottolineato l’avvocato difensore dell’uomo, intervistato da Luca Tancredi Barone per Il Manifesto (l’intervista si può leggere qui). “Se non stiamo parlando di veri e propri trafficanti, la pena massima arriva a un anno di prigione. E in casi umanitari, in cui rientrerebbe questo, la legge prevede che il reato non sia punibile”, dichiara l’avvocato.
‘Casi’, al plurale: perché vicende di questo tipo accadono continuamente. “Io stesso ho visto bambini nascosti nei cruscotti delle macchine, sotto i camion, nei motori delle barche”, denuncia l’avvocato.
Ma non sempre c’è una fotografia a farli emergere e a portarli alla nostra attenzione.