Due rapporti annuali che fanno il punto sullo stato delle persone in fuga, sui rifugiati, gli sfollati nel mondo e in Europa non potevano che essere pubblicati in un momento più adeguato. I Global Trends dell’Unhcr e la pubblicazione dell’Easo (lo European Asylum Support Office) giungono a dirci come stanno le cose nei fatti e non nella campagna elettorale continua sulla pelle dei profughi e dei migranti che alcuni partiti italiani e europei sembrano aver scelto di fare, in vista delle elezioni europee del 2019. I numeri sono utili per tante ragioni, una delle quali è dare le dimensioni del fenomeno mondiale per poi poterlo paragonare con quello europeo e italiano. Guardare all’Europa è molto importante perché in queste settimane si discute della riforma del diritto d’asilo e del sistema di Dublino e l’aria che tira non è delle migliori. Di nuovo, guardare al fenomeno nella sua interezza è utile per discutere di fatti concreti, non di percezioni.
Nei suoi Global Trends 2017 , l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, segnala che al 31 dicembre 2017 gli sfollati di vario ordine e grado erano 68 milioni e 500mila persone. Solo nell’anno passato i nuovi sfollati sono 16,2 milioni, 44.500 persone al giorno, una ogni due secondi. Una dinamica in crescita costante a partire dal 2012, che vede crisi in zone del mondo che quasi non ricordiamo: i rohingya sono diventati sfollati e rifugiati nel giro di 100 giorni a partire dall’agosto 2017. Tra questi la larga maggioranza è rimasta nel proprio paese di origine, dovendo però abbandonare la sua città o il suo villaggio mentre 4 milioni e 400mila hanno dovuto passare un confine.
I rifugiati che sono fuggiti dai loro paesi per sfuggire a situazioni di guerra (non necessariamente tra due paesi) e alle persecuzioni erano a fine 2017 più di 25 milioni, ovvero 2,9 milioni in più rispetto al 2016. Le crisi umanitarie e gli esodi più imponenti sono quella siriana e quello, nuovo, dei rohingya in Birmania. In questo ultimo caso la maggioranza delle persone in fuga, il 55%, sono bambini.
E a proposito di rohingya, sarà bene ricordare che, fatta eccezione per la Germania, tutti i Paesi che ospitano più sfollati, rifugiati e richiedenti asilo sono fuori dall’Europa – nella mappa scrollando con il mouse i dati in milioni nei Paesi colorati, il Libano è molto piccolo, ma si vede, ed ha il numero di rifugiati per abitante più alto in assoluto; la Svezia è il paese europeo con più rifugiati pro-capite.
Nel frattempo, i richiedenti asilo in attesa dell’esito di sapere se verrà loro riconosciuto lo status di rifugiato, sono aumentati di circa 300mila unità tra 2016 e 2017 e sono 3 milioni e 100mila. L’Italia occupa un posto alto nella classifica dei Paesi dove viene richiesto l’asilo. Le ragioni sono due: la rotta dalla Libia e l’assenza di decreti flussi degni di questo nome che consentano ai migranti cosiddetti economici di arrivare legalmente in Italia. L’assenza di decreti flussi ha fatto aumentare a dismisura il numero di persone che tenta la strada dell’asilo per lasciare il suo Paese ed entrare in Europa. La chiusura della rotta balcanica e il numero decrescente di richiedenti asilo dalla Siria ha reso l’Italia un punto di passaggio più importante negli ultimi due anni. Nel mondo, il numero più alto di richiedenti asilo arriva però negli Stati Uniti, dove pochi giorni fa si è annunciato che le persone in fuga dalla violenza e le vittime di abusi sessuali non potranno più ricevere protezione. Una decisione grave.
I rifugiati sono spesso bambini, nel 59% dei casi in Africa, nel 29% in Europa, o donne, la percentuale più bassa è quella del 39% in Europa.
Ma, veniamo appunto all’Europa e alla presunta invasione. Nel 2017, leggiamo nel rapporto Easo, il numero di domande di asilo è stato pari a 728.470, ovvero il 44% in meno che nel 2016. Il fenomeno insomma è sempre importante, ma ridimensionato (e il 2018 sembra mostrare una dinamica simile). Richiedere asilo significa anche dover aspettare l’esito della domanda. L’Easo segnala che nel 2017 il numero di persone in attesa di sapere se verrà loro riconosciuta una qualche forma di protezione internazionale è calato in Europa del 16% (ma siamo sempre attorno al milione di persone). La novità sta nell’aumento del numero di persone che aspetta una decisione successiva al primo grado di giudizio. Questa dinamica si spiega probabilmente con l’aumento dei dinieghi: le decisioni di primo grado emesse nel 2017 sono state positive in circa la metà dei casi (462.355), un tasso di riconoscimento del 14% più basso rispetto all’anno precedente. Allo stesso tempo cala il numero di persone che si vedono riconosciuto lo status di rifugiato (50% rispetto al 55% del 2016) o la protezione sussidiaria (34% rispetto al 37%), mentre cresce la quota di persone che ottengono la protezione umanitaria. Anche per queste ragioni, più persone fanno ricorso e, quindi, più persone aspettano il secondo grado di giudizio.
Interessante notare che il tasso di dinieghi per i richiedenti asilo cambia molto al cambiare dei Paesi che valutano la domanda – tradotto: un afghano, un siriano, un iracheno hanno possibilità diverse di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato a seconda del Paese in cui fanno la richiesta. Un tema come molti altri su cui sarebbe utile discutere in sede europea per adottare dei criteri di valutazione standard o almeno simili. Altra segnalazione doverosa riguarda l’accumulo delle pratiche in attesa di ottenere risposta: Germania e Italia (con numeri diversi in entrata) sono i primi due paesi per attesa, ma tra 2016 e 2017 il numero di casi pendenti tedeschi è calato del 26%, mentre quello di casi pendenti italiani è aumentato del 52%.
Un dato importante da rilevare perché segnala sia la necessità di adottare criteri simili che una dinamica degli arrivi simile per diversi Paesi europei, è il tasso di rigetto delle domande in prima istanza. Easo calcola che tra riconoscimento dello status di rifugiato e altre forme di protezione le richieste di asilo approvate siano il 46% (di cui 23% rifugiati in senso stretto). Il dato italiano degli ultimi anni si aggira attorno al 40%, segno che, appunto, nel nostro Paese non c’è un’invasione di finti richiedenti asilo, ma che certe dinamiche si somigliano e che i richiedenti asilo provenienti da alcuni paesi – somali, siriani ed eritrei– ottengono più facilmente protezione rispetto ad altri, ad esempio pakistani, albanesi o nigeriani.
Un quadro composito, quello europeo, che ha bisogno di una riforma complessiva relativa alla distribuzione dei richiedenti asilo, alle risorse da destinare non solo al controllo delle frontiere, agli standard da seguire e alla difficile questione della riforma della Convenzione di Dublino – che impone di fare richiesta di asilo nel primo Paese dell’Unione in cui si mette piede. Una riforma condivisibile esiste già ed è quella approvata dal Parlamento europeo. L’Italia avrebbe molto da guadagnare da una riforma equa ed europea (nel senso di una ripartizione delle responsabilità) e dalla cancellazione dell’obbligo di chiedere asilo nel primo paese europeo di arrivo, ma finge che questa proposta non esista. Alcune forze politiche europee giocano pericolosamente con i diritti dei richiedenti asilo per acquisire consenso presso l’opinione pubblica. Per questo le trattative in corso sono complicate. Per questo sarà importante seguirle.