Gli effetti e i risvolti pratici dell’applicazione, più o meno zelante, del cosiddetto Decreto immigrazione e Sicurezza, diventato legge due giorni fa, stanno generando confusione e stati d’animo contrastanti. Ma ritorna sempre il costante fattore “preoccupazione”. In realtà, quello che si sta verificando è un vero e proprio corto circuito: da un lato Prefetti troppo ligi al dovere hanno emesso circolari in rigida ottemperanza al Decreto, dall’altro permangono ancora troppi dubbi e conseguenze inspiegate e mal valutate dell’applicazione dello stesso.
Nel frattempo, tutti gli appelli lanciati dalla società civile, anche attraverso manifestazioni partecipate, e tutte le ultime flebili speranze si sono spente: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, infatti, ha promulgato il decreto sicurezza, convertito in legge dalla Camera la scorsa settimana e prontamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 3 novembre 2018.
Si tratta dell’atto finale e un po’ scontato dell’iter legislativo di un decreto che avrà pesanti effetti sulla vita dei migranti e dei richiedenti asilo e di cui, a più voci e da più parti, si è sottolineato il rischio di incostituzionalità.
E infatti, è accaduto che in molte località del Sud e del Centro Italia siano partite numerose e subitanee revoche dell’accoglienza per i titolari di permesso per motivi umanitari ancora ospitati nei Cas. Capo Rizzuto in Calabria, Mineo e i vari Cas della Sicilia, Aversa e la provincia di Caserta, Rieti, Latina, ma anche Bari e Potenza. Sono fra le prime realtà a produrre circolari prefettizie, anche dai contenuti ambigui, che chiedono “l’uscita” dai centri di accoglienza dei titolari di protezione umanitaria in “applicazione immediata” del Decreto. E tutto questo, senza che siano state proposte delle alternative o che sia concesso un lasso di tempo ragionevole per trovarle. E in totale assenza di qualunque considerazione sullo stato fisico e sociale di vulnerabilità delle persone interessate. La confusione è stata tale da indurre il Viminale a specificare che la legge non può essere retroattiva (con un post sui social), e alcune Prefetture a fare passi indietro quantomeno sui casi di revoca a soggetti vulnerabili.
Secondo alcune stime pubblicate dai quotidiani, con grandi titoli in prima pagina, il numero di cittadini stranieri che potrebbero essere allontanati dai Centri di accoglienza, colpiti da misure di revoca, nelle prossime settimane potrebbe essere davvero enorme: quarantamila persone fra quelle che hanno già la protezione umanitaria, chi è prossimo al rinnovo e chi deve ancora ritirare il permesso in Questura. Quand’anche fossero la metà, si prospetterebbe una situazione ingestibile che andrebbe a pesare soprattutto sui singoli Comuni.
Intanto, alle circa venti città, medie o grandi, che hanno approvato mozioni o ordini del giorno contro la nuova legge, da ultimo, si è aggiunta oggi anche l’Assemblea capitolina, che ha approvato una mozione presentata dalla maggioranza grillina “per mitigare gli effetti del decreto sicurezza”. L’atto, passato con 28 voti a favore di cui 22 a 5 Stelle, impegna la sindaca “ad approntare tutti gli atti necessari a mitigare gli effetti in termini di diritti sia per i cittadini che per le persone accolte” e “ad incrementare le politiche di accoglienza ed inclusione sociale con particolare attenzione alle fragilità”.
La battaglia è condivisa anche dall’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) che ha approvato all’unanimità un documento in cui sono evidenziate le principali criticità del decreto, lanciando un Osservatorio nazionale sull’impatto della legge sui territori. Secondo le prime stime dell’Anci, si parla di un aumento dei costi per i Comuni di “oltre 280 milioni di euro all’anno”. Inoltre, un emendamento alla manovra di bilancio (oltre a quello che ha cancellato la carta famiglia per i cittadini stranieri, noi ne abbiamo parlato qui) prevede che a partire dal 2019 il fondo di 30 milioni di euro finora vincolato alla spesa sanitaria per i migranti non iscritti al Servizio sanitario nazionale, possa essere usato dalle Regioni anche per altri scopi.
Ad ogni modo occorre, per portare un po’ di chiarezza, puntualizzare alcune cose.
Intanto, che il decreto Sicurezza e immigrazione, ormai convertito in legge, non è retroattivo (come sopra anticipato) e che le eventuali uscite dal sistema di accoglienza di persone titolari di protezione umanitaria avvengono – così come in passato – alla consegna del permesso di soggiorno con il quale il migrante può avviare il proprio percorso socio-lavorativo autonomo.
In secondo luogo, che negli SPRAR non potranno più entrare i soggetti beneficiari dalla protezione umanitaria dopo il 4 di ottobre (prima potevano farlo solo in caso di disponibilità di posti), come ribadito dalla circolare del 25 ottobre del Servizio Centrale, mentre chi ha il permesso per motivi umanitari e si trova già nello SPRAR potrà rimanervi fino alla fine del progetto. Riguardo agli Sprar, il nodo che deve essere ancora sciolto è quello di coloro che hanno ottenuto la protezione umanitaria prima del 4 ottobre la cui richiesta di inserimento nello Sprar sia stata effettuata dopo quella data.
Ancora va puntualizzato che i richiedenti asilo, dal 4 ottobre in poi, non potranno più entrare nello SPRAR, ma saranno ospitati esclusivamente nei CAS e non potranno usufruire di alcuna misura di inclusione a loro dedicata (come già previsto dalla direttiva ministeriale del 24 luglio scorso, illustrata nel nostro ultimo focus). “Privilegio” questo consacrato solo ai migranti con uno status definito.
Una mossa alternativa e di “resistenza” (vedi di disobbedienza) a questa grande confusione potrebbe essere quella di adoperarsi per attuare forme di accoglienza spontanea dal basso, riunendo semplici cittadini e associazioni locali.