Vi invitiamo alla lettura di un interessante articolo scritto da Sergio Bontempelli e pubblicato su ADIF- Associazione Diritti e Frontiere, nel quale si cerca di analizzare il concetto di migrante cosiddetto “economico”, incastrando dati statistici, prassi illegittime e norme europee disattese. E si conclude con l’amara constatazione che l’attuale situazione che rischia di creare un vero e proprio serbatoio di emarginazione sociale e di irregolarità.
Nel dibattito sugli sbarchi di profughi, ci siamo “dimenticati” degli immigrati cosiddetti economici: discriminati, esclusi, esposti a una legge tra le più restrittive e irrazionali d’Europa. Da qualche anno a questa parte, quando si parla di «immigrazione», si fa riferimento agli sbarchi sempre più frequenti di profughi, richiedenti asilo e rifugiati sulle coste del Sud Italia. Ed è normale che sia così: perché senza dubbio, dopo le Primavere Arabe e l’avvio di conflitti su larga scala nell’area mediorientale e maghrebina, le migrazioni forzate dalla sponda sud del Mediterraneo hanno avuto una clamorosa impennata, che contrasta con la relativa stagnazione delle migrazioni economiche classiche.
Le migrazioni sono in calo: ce lo dicono i dati ISTAT
E tuttavia, viene da chiedersi che fine abbiano fatto i lavoratori e le lavoratrici provenienti dalla Romania, dall’Albania, dall’Ucraina o dal Marocco, che fino a qualche anno fa erano al centro delle cronache (e delle sparate più o meno razziste di politici e commentatori). Scomparsi dalla visibilità pubblica, sembra quasi che non esistano più: invece esistono eccome. E la loro vita è tutt’altro che rosea.
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