Paura. Questo il sentimento maggiormente diffuso all’interno del “villaggio attrezzato” di via della Cesarina, a Roma, secondo l’Associazione 21 Luglio, che ha presentato ieri a Roma “Diritti Rubati”, rapporto sulle condizioni di vita all’interno di questo “villaggio”. L’insediamento, sorto sull’ex “Camping nomentano”, si inserisce all’interno del Piano nomadi della Capitale, ed è il più piccolo, come dimensione e numero di abitanti, tra gli otto “villaggi attrezzati” di Roma: vicino a fermate dei mezzi pubblici, negozi e servizi, apparentemente potrebbe sembrare meno problematico di altri insediamenti presenti sul territorio romano. Quello che ha spinto l’associazione a interessarsi del “villaggio” è stata proprio la “coltre di silenzio e omertà” che sembra coprire il campo, come si legge nel rapporto.
Durante la ricerca sono emerse problematiche allarmanti che hanno delineato una situazione di diffusa “illegalità istituzionale”, ha affermato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione. Già la storia della gestione del “villaggio” riconduce ad una situazione che potremmo eufemisticamente definire poco chiara. Nel 2002, infatti, le forze dell’ordine fecero irruzione nel “Camping nomentano”, trovando 126 cittadini rumeni che, per avere un posto letto in una capanna, pagavano fino a 210 euro mensili al gestore del camping, il quale venne arrestato con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della manodopera”. Subito dopo, il Comune di Roma iniziò una trattativa con Propaganda Fide, proprietaria del terreno, decidendo di far gestire il nuovo villaggio.. dalla stessa persona che era stata arrestata in precedenza. Le modalità con cui è nato il “villaggio” spiegano bene la situazione in cui versano oggi le persone che vi abitano: 181 persone, a fronte delle 125 previste dal Regolamento regionale del 2008, vivono in containers e roulottes assolutamente lontani dai parametri edilizi e igienico-sanitari sanciti dalle norme vigenti, con 8 wc e 8 docce presenti in tutto l’insediamento. Oltre a ciò, i ricercatori hanno riscontrato continue vessazioni ai danni degli abitanti da parte del gestore, che, tra le altre cose, obbligherebbe ogni famiglia al pagamento di una somma per le utenze collettive: versamento, naturalmente non accompagnato da ricevuta, e assolutamente non previsto dalla convenzione, che impegna invece il gestore – il quale riceve un compenso annuale di 316.800 euro – all’amministrazione delle utenze.
Una situazione drammatica e criminosa descritta minuziosamente nel rapporto presentato ieri, che evidenzia come l’organizzazione dell’area non intenda “rispondere alle esigenze delle persone, ma piuttosto alla volontà della pubblica amministrazione e del soggetto gestore di collocare il maggior numero di individui nel più ristretto spazio, al di là di quanto stabilito dalle norme vigenti”. Del resto, le esigenze dei rom non sembrano proprio essere prese in considerazione, all’interno di un sistema che non cerca soluzioni a una situazione di marginalità e disagio, ma anzi tende a segregare i rom in misura sempre maggiore. L’idea di “campo” non può infatti essere concepita, in un sistema democratico, come un’alternativa positiva, quando invece si profila come un vero e proprio “sistema di apartheid, all’interno del quale sono completamente assenti i diritti di cittadinanza”, ha ricordato ieri Roberto De Angelis, docente di Sociologia Urbana all’Università di Roma La Sapienza. Evidenza confermata da Francesco Careri, ricercatore di Architettura presso l’Università “Roma Tre”, il quale ha ricordato come gli abitanti di questi “villaggi attrezzati” siano identificati all’entrata e all’uscita da un codice numerico inserito nel DAST – Documento di Autorizzazione allo Stazionamento Temporaneo -, una tessera magnetica che indica la presenza di eventuali precedenti penali, e passaggi per altri campi rom. Inoltre in più interventi è stato evidenziato che in questi “villaggi” vige un orario di ingresso, che di fatto limita la libertà di movimento personale. Una situazione, quella dei campi, che continua a separare i rom dal resto dei cittadini, ghettizzandoli e mantenendoli in una condizione di “buona invisibilità”, come spiega un abitante del “villaggio” di via Cesarina. In definitiva, ha affermato Careri, a cui ha fatto eco Stasolla, una situazione che “non è migliorabile, ma solo da terminare: i campi vanno chiusi”.
Scarica il rapporto: http://www.21luglio.org/images/Diritti%20rubati_integrale.pdf
Guarda il video di presentazione del report: http://www.youtube.com/watch?v=iFv5TqBqO1o&feature=player_embedded