I Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA), poi ribattezzati Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), sono stati istituiti con l’obiettivo di rendere operativi i provvedimenti di allontanamento coattivo emessi nei confronti dei cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno (nei casi in cui essi non risultino immediatamente eseguibili).
I motivi che possono ostacolare l’esecuzione immediata dell’espulsione sono essenzialmente due: la mancata identificazione della persona o l’indisponibilità del mezzo di trasporto necessario per effettuare il rimpatrio.
Cosa comporta l’internamento del cittadino straniero nel CIE?
Privazione della libertà personale, un diritto garantito dall’Art. 13 della Costituzione: lo straniero è infatti recluso in strutture assolutamente assimilabili a quelle carcerarie, sorvegliate dalle Forze dell’ordine, dalle quali non può allontanarsi.
Inizialmente fissata a un massimo di trenta giorni, la permanenza massima nei centri è stata successivamente prolungata prima a sessanta, poi a centottanta giorni complessivi. Ora, è di diciotto mesi.
Al di là della funzione ad essi attribuita dal legislatore, i centri di detenzione sono stati rappresentati nel dibattito politico e istituzionale come “strutture necessarie” per “combattere l’immigrazione irregolare” anche per la loro funzione di “deterrenza”: la prospettiva di un lungo periodo di reclusione scoraggerebbe insomma nuovi arrivi.
E’ davvero così? Stando alle testimonianze e ai documenti prodotti dalle organizzazioni antirazziste, da numerosi Parlamentari, da organizzazioni internazionali e dagli operatori dell’informazione, queste strutture sono in realtà disumane, inutili e inefficaci. Le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, così come le conseguenti proteste, le ribellioni, gli atti di autolesionismo, i tentativi di fuga.
E per quanto riguarda l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione?
Tra il 1998 e il 2013 sono stati complessivamente detenuti nei Cpta, oggi CIE, 175.142 migranti. Tra questi sono stati effettivamente rimpatriate 80.830 persone, il 46,2% del totale. Meno della metà delle persone recluse: la detenzione nei Cie non facilita quindi l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, l’obiettivo dichiarato di queste strutture.
Inutili, disumani e inefficienti: i Cie sono uno degli esempi più eclatanti di spreco delle risorse pubbliche. Tra il 2005 e il 2011 l’attivazione, la locazione, la gestione, la costruzione, l’acquisizione e l’adattamento degli immobili e l’acquisto di attrezzature, la manutenzione ordinaria e la manutenzione straordinaria dell’intero sistema dei CDA, CPSA, CARA e CIE sono costati allo Stato un miliardo di euro, in media 143,8 milioni l’anno.
Lunaria ha stimato i soli costi di funzionamento dei CIE a regime in almeno 25,1 milioni di euro l’anno.
A questi costi devono però essere aggiunti:
-i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria non quantificabili con solo riferimento ai CIE;
-i costi per la sorveglianza dei Centri, sicuramente non inferiori a 26,3 milioni l’anno;
-i costi di missione del personale di scorta che procede all’esecuzione dei rimpatri coatti il cui costo medio annuale può essere stimato in 3,6 milioni di euro.
In base alla documentazione ufficiale disponibile i costi minimi sicuramente riconducibili al sistema di detenzione amministrativa sono dunque pari ad almeno circa 55 milioni l’anno.
In sintesi: spendiamo milioni di euro l’anno per mantenere in vita un sistema che ha come unico fine quello di espellere i migranti dal nostro territorio senza per altro riuscirci. La considerazione dell’inefficacia dei Cie si aggiunge dunque a quella ben più rilevante delle violazioni dei diritti umani fondamentali che vi sono perpetrate a sostegno dei molti che ne chiedono la definitiva chiusura.