È in atto nel mondo una battaglia, talvolta molto chiara e talvolta molto confusa, che può essere decisiva tra una idea di società e un’altra. La prima è basata sulla rispettosa convivenza degli uomini, le donne e i popoli tra di loro, e anche con gli animali e con la natura; sulla responsabilità che ciascuno deve assumersi, con le proprie forze e non cedendo agli alibi e ai ricatti del proprio “particolare”, nei confronti degli altri. Questa idea di convivenza è fondata sulla garanzia dei diritti delle generazioni future, e non potrebbe essere altrimenti. L’altra è basata su una logica di rapina, a vantaggio di chi più già ha, e senza alcuna considerazione per il futuro se non degli assolutamente privilegiati.
È in questo contesto che si colloca, venendo così ad assumere per noi e per il nostro paese un significato di estrema rilevanza, la normativa che regola la vita dei migranti sul nostro territorio e il nostro rapporto con loro.
Per partecipare in ugual modo alla sfera pubblica, a tutti i soggetti devono essere garantiti gli stessi diritti umani, sociali, di cittadinanza.
“Loro” sono persone titolari di diritti che ogni convenzione internazionale e ogni paese civile dovrebbero non solo riconoscere, ma far rispettare. Quei diritti che invece la legge nega riducendo i migranti a “macchine da lavoro” strumenti di un moderno schiavismo “usa e getta”, utili solo finché servono alle nostre economie. Oggi, nel pieno di una crisi economico-finanziaria che non accenna a concludersi, i migranti tendono a scomparire (o vi compaiono del tutto marginalmente) dalle agende politiche.
La globalizzazione neoliberista fa circolare (più o meno) liberamente merci, denari, a eccezione ovviamente dei migranti. A meno che non ci servano. E a casa nostra (e non solo) si fa il peana della “flessibilità”, ma non certo per i migranti: a loro è chiesto di avere il lavoro “a vita” se vogliono venire da noi. Se poi vogliono ricongiungersi con la propria famiglia, i governanti – che un giorno sì un giorno no innalzano i valori della “famiglia” – si oppongono: i migranti non ne hanno bisogno per stare da noi. Al massimo vengano i figli, ma solo se minorenni.
E poi non ci si appelli al garantismo: i richiedenti asilo vengano ricacciati al loro paese senza aspettare l’esito del ricorso al diniego dello status di rifugiato respingendoli tra i loro torturatori e persecutori. Dei modi in cui l’Europa ha creduto di poter affrontare il fenomeno delle migrazioni, il modo italiano è stato in passato il più schizofrenico e incerto, ma è diventato nel tempo esplicitamente razzista e discriminatorio.
Oggi ci sembra prioritario partire di nuovo da noi stessi e dalle nostre possibilità di agire, criticare, sollecitare altri cittadini, intellettuali, esponenti della società civile a richiedere leggi più giuste. Attraverso la nostra capacità di dire “no” a tutto questo.
Vogliamo che l’annuncio di una riforma della legge sulla cittadinanza si trasformi finalmente in realtà.
Vogliamo che il Mediterraneo torni a essere un mare di pace anziché di morte.
Vogliamo che finisca la disumanità dei Centri di Identificazione e Espulsione.
Vogliamo che sia finalmente data attuazione all’art. 10 della Costituzione grazie al varo di una legge organica sull’asilo.
Vogliamo che il futuro governo abroghi immediatamente la legge Bossi-Fini e le norme introdotte con “il pacchetto sicurezza” 2008/2009.
Vogliamo che lo scandalo della segregazione dei campi rom scompaia dalle nostre città.
Hanno sottoscritto l’appello
Anna Bonaiuto
Massimo Carlotto
Anita Caprioli
Ascanio Celestini
Carlo Donolo
Luigi Ferrajoli
Emita Frigato
Goffredo Fofi
Fabrizio Gifuni
Wilma Labate
Gad Lerner
Salvatore Mannuzzu
Giulio Marcon
Lorenzo Mattotti
Paolo Mereghetti
Moni Ovadia
Giacomo Panizza
Stefano Rodotà
Alba Rohrwacher
Alice Rohrwacher
Mariuccia Salvati
Marino Sinibaldi
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