E’ stato presentato oggi, a Roma, da Medici per i diritti umani (Medu), il rapporto 2018 “I dannati della terra”, sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro. Oltre al rapporto, presentati anche i dati di cinque anni di attività del Progetto “Terragiusta”, durante il quale il team e la clinica mobile di Medu hanno assistito circa duemila lavoratori migranti.
“I grandi ghetti di lavoratori migranti nella Piana di Gioia Tauro rappresentano uno scandalo italiano dimenticato dalla politica – ha denunciato duramente Medu – e sono il segno più evidente di tutte le contraddizioni della gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese”.
Per il quinto anno consecutivo, da dicembre ad aprile, la clinica mobile Medu ha operato nella Piana “prestando assistenza socio-sanitaria ai lavoratori migranti che anche quest’anno si sono riversati nella zona durante la stagione agrumicola”. Stagione in cui almeno 3500 persone, “distribuite tra i vari insediamenti informali, hanno fornito anche quest’anno manodopera flessibile e a basso costo ai produttori locali di arance, clementine e kiwi”, si legge nel rapporto. Una stagione particolarmente difficile, quest’ultima, in cui alle condizioni già precarie di vita e di lavoro dei migranti, si è andato ad aggiungere il tragico incendio della baraccopoli di San Ferdinando, che ha poi provocato la morte di Becky Moses, giovane donna nigeriana, il 27 gennaio scorso.
Inoltre, i migranti titolari di protezione internazionale o umanitaria giunti recentemente in Italia, in assenza di adeguate politiche di inclusione socio-lavorativa, si ritrovano sempre più spesso a lavorare nelle campagne in condizioni di sfruttamento e grave emarginazione.
La clinica mobile di Medu ha prestato assistenza a 484 persone, realizzando in totale 662 visite. Il profilo del paziente tipo è uomo, giovane (età media 29 anni) e originario dall’Africa sub-sahariana occidentale. Le donne, circa 100, quasi tutte provenienti dalla Nigeria, e quasi certamente vittime di tratta a scopo di prostituzione.
“Il 92,6% dei pazienti è regolarmente soggiornante”, si legge nel rapporto. “La situazione lavorativa è sconfortante. Oltre il 70% delle persone lavora senza contratto. Nel tempo c’è stato un miglioramento, anche in seguito ai controlli scattati con la legge sul caporalato del 2016. Ma il 27,8% delle persone ha contratti finti. Spesso si tratta di una lettera di assunzione e il contratto non viene registrato. O comunque non rispetta le condizioni dei contratti di settore”. Il 34% delle persone lavora 7 giorni su 7. La metà dei lavoratori sa cos’è la busta paga, ma solo l’8,3% la riceve. I lavoratori, dice il rapporto, vengono pagati a cottimo – soprattutto nel caso della raccolta di arance e mandarini: 50 centesimi per una cassetta di arance, 1 euro per i mandarini. Il pagamento diventa a giornata nel caso della raccolta di olive o in altre attività agricole. Poco più del 90% dei lavoratori percepisce tra i 25 ed i 30 euro al giorno. Le giornate lavorative non vengono dichiarate dal datore di lavoro nell’83,92% dei casi. Oppure viene dichiarato un numero di giornate molto inferiore a quelle svolte.
Sotto accusa, secondo Medu, l’operato delle istituzioni, locali, regionali e nazionali. “Nel mese di agosto dell’anno scorso è stata allestita un’ennesima tendopoli, la terza in ordine di tempo”, si legge ancora nel report, “che non ha tuttavia fornito una risposta adeguata: con 500 posti disponibili a fronte delle oltre 3000 persone presenti, in assenza di assistenza medica, sanitaria e socio-legale e di mediatori culturali”: ancora una volta “una soluzione di carattere puramente emergenziale, che confina le persone in una zona isolata e lontana da qualsiasi possibilità di integrazione e inserimento sociale”.
Dal punto di vista sanitario i braccianti stranieri si ammalano facilmente a causa delle precarie condizioni di vita: i medici di Medu hanno riscontrato patologie respiratorie nel 22,06% dei pazienti, disturbi dell’apparato digerente (19,12%) o osteoarticolari (21,43%), queste ultime a causa dell’intensa attività lavorativa. Senza contare che molti di loro portano ancora sul corpo i segni delle torture fisiche subite nei centri in Libia o disturbi di natura psicologica, legati al trauma del viaggio. La metà dei pazienti risulta iscritta al Servizio sanitario nazionale ma molti non sanno nemmeno di avere diritto ad un medico di base, né a cosa serva la tessera sanitaria.
Negli ultimi anni, si osserva nel rapporto, vi sono state numerose dichiarazioni d’impegno e protocolli firmati da parte delle istituzioni nazionali e locali, con la nomina governativa di un Commissario straordinario per l’area di San Ferdinando. Un «impegno sulla carta e a parole che non si è ancora tradotto in azioni concrete in grado di porre limiti al degrado e alla sfruttamento».
Tante le raccomandazioni contenute nel rapporto per superare questa situazione: dall’housing sociale al potenziamento dei centri per l’impiego, da maggiori controlli sulle aziende al rafforzamento dei trasporti pubblici fino alla promozione di un migliore accesso alle cure sanitarie.
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