In queste ultime settimane, la diffusione del Coronavirus e le relative misure prescrittive adottate dal governo italiano per il suo contenimento, stanno rendendo manifesta l’importanza di una serie di luoghi e di soggetti considerati in precedenza secondari e “invisibili”.
Tra questi, emergono “luoghi altri”, generalmente definiti come ghetti, baraccopoli o insediamenti informali, che trovano la loro collocazione nelle aree rurali delle province italiane, ben oltre le periferie delle nostre città. In molti li hanno definiti come dei “non-luoghi”, pur consapevoli che in realtà si tratta di luoghi centrali ad una serie di logiche neoliberali, che nascono dall’incontro tra i processi migratori e i processi di ristrutturazione dei rapporti di produzione all’interno dell’economia globale. Da Trapani fino al Cuneese, passando per San Ferdinando, Nardò, Borgo Mezzanone, Villa Literno, Latina, questi luoghi tratteggiano una geografia di relazioni pragmatiche di contenimento e di rifugio per i migranti impiegati nelle catene di produzione dell’agro-industria italiana. L’emergenza sanitaria ha in parte acceso i riflettori su questi contesti e su chi li abita, ricordandone le precarie condizioni di vita e il ruolo essenziale che ricoprono nel garantire l’approvvigionamento di beni alimentari per tutto il Paese. Per colmare il vuoto delle 200.000 “braccia” venute a mancare dall’Est Europa, il governo italiano ha volto lo sguardo sulle migliaia di persone che vivono da anni in condizioni di irregolarità. Le numerose realtà della società civile che da anni spingono per una riforma della normativa in materia di immigrazione e per la regolarizzazione di chi si trova senza permesso di soggiorno, hanno già ribadito da qualche settimana tale necessità. La campagna Ero Straniero, ha sottolineato come una proposta di legge esista già e sia in discussione in Parlamento. Sono state promosse inoltre altre iniziative finalizzate nello specifico ad una sanatoria, tra queste la piattaforma Siamo qui – sanatoria subito e la lettera-appello lanciata da Terra! Onlus e Flai-Cgil. Il Ministro per le Politiche agricole Teresa Bellanova, si è dichiarata favorevole ad un provvedimento di regolarizzazione, che metta le persone nella posizione di firmare un regolare contratto di lavoro e di uscire dagli insediamenti informali. Per quanto chiaramente strumentale ai fini produttivi, l’adozione di tale provvedimento rappresenterebbe un’importante svolta per migliaia di persone che da anni attendono un riconoscimento giuridico della propria esistenza in Italia. Per queste persone, le misure di contenimento e di restrizione alla libertà di movimento, che gran parte della popolazione italiana ha recentemente scoperto, risultano essere imposte da tempi non sospetti, corredate da gradi significativamente superiori di violenza e controllo.
Che significato e che risvolti assume dunque la declinazione odierna di contenimento, entrato recentemente a far parte del nostro vocabolario quotidiano, nel vissuto dei migranti impiegati nelle catene di produzione dell’agro-industria italiana?
Contenimento e (in)visibilità
Contenere, nella sua accezione prescrittiva, indica l’azione di trattenere, di delimitare qualcosa o qualcuno all’interno di confini prestabiliti, posti in essere per evitare che la diffusione possa rappresentarne una minaccia per l’intera collettività. Se fino a ieri ad essere contenuti erano i flussi migratori, ritenuti una minaccia per la stabilità dell’ordine pubblico, oggi l’umanità si trova di fronte ad uno straniero dalle dimensioni infinitamente più piccole ma evidentemente più nocive, per cui si ritiene opportuno adottare delle misure di contenimento totalizzanti, che travalichino le categorizzazioni etniche, sociali, politiche e religiose. Lo stare in casa, divenuto un imperativo pressoché categorico, sembra essere una prerogativa fondamentale per evitare i rischi di un eventuale contagio.
I migranti che vivono all’interno degli insediamenti informali, si trovano sostanzialmente impossibilitati a rispettare questo imperativo, per l’assenza di una casa vera e propria o per le condizioni di estremo affollamento nelle quali si trovano a condividere la propria “stanza” (in alcuni casi in cinque, sei, sette persone). Se da un lato il contenimento non è per queste persone un’esperienza nuova, le recenti limitazioni non fanno che acuire la precarietà della loro esistenza, oltre ad esporli in modo sproporzionato ai controlli autorizzati nell’ambito delle nuove disposizioni.
Vite contenute, esistenze sospese
Babucar vive da quattro anni all’interno dell’insediamento informale di Borgo Mezzanone. Insieme a lui, migliaia di persone versano in condizioni igieniche precarie e sono sostanzialmente impossibilitate ad accedere alle cure del servizio sanitario nazionale, pur essendo tra le più esposte ai rischi di un eventuale contagio. Tuttavia, la possibilità di contrarre il virus non è tra le sue principali preoccupazioni. All’incertezza della sua pratica di riconoscimento giuridico, si aggiunge ora un’ulteriore preoccupazione data dalla carenza di lavoro stagionale. La stagione degli asparagi che sarebbe dovuta cominciare poche settimane fa, quest’anno è in ritardo a causa del freddo delle ultime settimane. Inoltre, nonostante le attività produttive in ambito agro-alimentare non siano state interrotte (poiché annoverate tra quelle essenziali), le disposizioni di restrizione al movimento hanno limitato la possibilità di raggiungere i luoghi di lavoro. Infatti, anche nel caso in cui i lavoratori siano regolarmente assunti, il sistema di trasporto rimane sempre nelle mani di un meccanismo informale, che non può esplicitarsi come tale nel momento di un eventuale controllo.
Così come Babucar, Joy, Gift e altre decine di donne arrivate da tutta Italia a Borgo Mezzanone per lavorare nelle fabbriche della trasformazione dei prodotti agro-alimentari, si trovano bloccate. Le fabbriche hanno al momento sospeso l’attività, forse perché in contrasto con le norme di sicurezza, forse perché anche in quel caso i controlli stradali non permettono ai furgoni di arrivare. Allo stesso tempo, le lavoratrici non riescono a tornare nelle proprie abitazioni a Napoli, Bologna, Cosenza, a causa della sospensione di buona parte dei trasporti pubblici e del divieto di spostarsi in comuni diversi da quello in cui ci si trova.
Per ciascuno e ciascuna di loro, l’assenza di lavoro non pone esclusivamente un problema di sussistenza, ma si colloca in relazione alle aspettative da soddisfare nel Paese di origine.
La dimensione del lavoro, rappresenta infatti la condizione materiale e simbolica per il restare e la prospettiva per ripartire. Inoltre, la natura globale della crisi e delle relative misure di contenimento hanno avuto come conseguenza quella di acuire la precarietà economica anche dei familiari nei contesti di origine. In questo momento, le vite di migliaia di migranti appaiono più che mai sospese e colte in una doppia assenza, lontani dal proprio contesto di origine ma senza essere di fatto riconosciuti nel contesto di approdo e caratterizzate da una precaria condizione di immobilità geografica, sociale ed esistenziale.
La crisi sanitaria in corso sta svelando ancora una volta, tanto la dipendenza del settore agro-industriale dalle lavoratrici e dai lavoratori stranieri, quanto le condizioni di marginalizzazione e sfruttamento alle quali sono sottoposti. Come recita un proverbio gambiano, “la mucca non comprenderà il valore della propria coda fino al giorno in cui le verrà tagliata”. Ora che l’Italia si è resa conto dell’importanza dell’agricoltura e dei suoi lavoratori, è necessario promuovere con urgenza degli interventi legislativi che gli attribuiscano il giusto valore, prima che sia oramai troppo tardi per porvi rimedio.
Camilla Macciani e Antonio Ruggiero
Gli autori hanno trascorso diverso tempo in veste di ricercatori e attivisti all’interno dell’insediamento di Borgo Mezzanone. Sono stati promotori di una campagna di raccolta fondi finalizzata all’acquisto di materiale sanitario (quali gel, mascherine, etc.) utile a prevenire la diffusione del virus all’interno degli insediamenti informali del foggiano. Il materiale acquistato è stato donato ad INTERSOS, organizzazione impegnata in prima linea nell’assistenza sanitaria all’interno degli insediamenti informali.
È possibile avere maggiori informazioni sulla campagna cliccando qui