Sarà chiuso temporaneamente per procedere a lavori di ristrutturazione il Centro di Primo soccorso e accoglienza di Lampedusa. La decisione è arrivata, ieri sera, dopo l’incontro al Viminale tra il capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione, il direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed il sindaco di Lampedusa.
“Nel corso del colloquio – si legge in una nota del ministero dell’Interno -, è stata analizzata la situazione del Centro di Lampedusa, anche alla luce del recente incendio doloso che ha reso inagibile una ulteriore sezione alloggiativa (con relativo crollo, ndr), già compromessa da analoghi precedenti episodi. A conclusione dell’incontro – sottolinea la nota -, si è convenuto di procedere al progressivo e veloce svuotamento della struttura con chiusura temporanea della stessa, per consentire l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, a partire da quelli già programmati, riguardanti la recinzione, i locali mensa e la videosorveglianza. In caso di emergenza saranno assicurate le esclusive operazioni di primissimo soccorso ed identificazione, in vista della conseguente distribuzione territoriale dei migranti”. In questo momento sono trattenute nel centro circa 180 persone, di cui circa 165 uomini adulti soli.
Non molto incoraggianti le dichiarazioni del sindaco di Lampedusa (coalizione di centro-sinistra), Totò Martello, al suo rientro da Roma: “Vorremo per il futuro augurarci di avere un’isola dove vivere in santa pace. Ricevere per diversi anni l’oppressione costante degli sbarchi e non potere reagire è stato veramente un dramma. Senza centro di accoglienza, Lampedusa non sarà un porto di sbarchi. E si potrà avere un po’ di tranquillità. Nell’ultimo periodo erano aumentati i furti e altri casi di criminalità. Speriamo – conclude – insomma che prima di Pasqua a Lampedusa non ci sia più un tunisino. E che non vi siano sbarchi occasionali. Ed è per questo che auspico vengano rafforzati gli accordi con la Tunisia per fare diminuire sempre di più il numero degli arrivi“.
Le cattive condizioni della struttura e i tempi eccessivi di permanenza delle persone accolte nell’hotspot sono stati denunciati da tempo e da più parti. “Il Centro di Lampedusa – scriveva proprio in una nota la Croce Rossa di Roma, prima di ricevere la notizia della chiusura temporanea – dovrebbe prevedere una permanenza effettiva di 24/48 ore mentre nella realtà i tempi vanno molto oltre fino a toccare picchi di molte settimane se non mesi. Questa situazione sta determinando gravi criticità nella gestione del Centro, che di per sé non è strutturato per un’accoglienza di lungo periodo, avendo come effetto anche conseguenze negative sul profilo qualitativo dell’accoglienza che cerchiamo in ogni modo di garantire”.
Sempre, nei giorni scorsi, una delegazione composta da avvocati, ricercatori e mediatori culturali della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e IndieWatch, si è recata a Lampedusa ed ha raccolto numerose testimonianze di migranti ospitati nel centro, ben oltre il termine di legge. La delegazione, dopo la visita, ha chiesto il trasferimento degli ospiti in strutture adeguate, viste le sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali che ledono fortemente la dignità delle persone all’interno del centro, e l’immediata chiusura del centro.
La situazione drammatica dell’hotspot, nel quale migliaia di persone transitano ogni anno, era stata denunciata anche dal Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà personale, Mauro Palma, durante una conferenza stampa del 24 gennaio 2018.
Numerose e ricorrenti sono state anche le proteste da parte degli “ospiti” del centro, nella maggior parte dei casi represse e sedate nel silenzio dei media.
Potremmo dire che si tratta di un piccolo passo in avanti, che di fatto riconosce e ammette le pessime condizioni del centro, ma siamo ancora lontani dal constatare la necessità di una chiusura definitiva e non temporanea di questi luoghi di detenzione, dove i diritti sono sospesi.