Il colosso di Menlo Park, Facebook, ha inaugurato nei giorni scorsi a Roma, presso l’Hub di LVenture Group e Luiss EnLabs alla stazione Termini, il nuovo Binario F, un centro dedicato alla formazione e allo sviluppo delle competenze digitali. Presente per l’occasione, la numero due della compagnia, Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer di Facebook.
Il centro è considerato il maggiore investimento realizzato finora da Facebook in Italia ed occupa ben 900 metri quadrati. Ovviamente è stata un’occasione ghiotta per presentare alcuni dati importanti (su cui riflettere profondamente, aggiungeremmo noi, soprattutto alla luce di quanto sta accadendo negli ultimi giorni).
Secondo Facebook, sono 31 milioni gli italiani iscritti al social network e di questi 27 milioni “frequentano” i gruppi e fanno parte di almeno una “community”. Un dato assolutamente da record, che colloca l’Italia al top dei Facebook group in Europa.
Tuttavia, la maggior parte degli italiani risulta avere difficoltà ad interfacciarsi nel “modo giusto” con i social, perché mancano le competenze digitali. In Italia, infatti, solo un cittadino su tre ha gli strumenti e le capacità per utilizzare al meglio le potenzialità dei social network. Solo un terzo degli italiani tra i 16 e i 64 anni sono in grado di usare Internet in modo articolato, andando oltre la semplice navigazione, e solo il 30% degli adulti ha ricevuto formazione negli ultimi 12 mesi.
Nel suo intervento Sheryl Sandberg ha toccato anche temi di attualità importanti: “Sappiamo di dover risolvere problemi come l’hate speech e la disinformazione – le cosiddette fake news – soprattutto nelle elezioni politiche, ma ci siamo impegnati con i fact checkers, nel controllo degli annunci pubblicitari elettorali e questo lavoro ha avuto un impatto”, ha dichiarato alla stampa, sottolineando inoltre che “dal 2016 le interazioni con le notizie false sono dimezzate e il 65% del linguaggio d’odio è stato rimosso rispetto al 24% di due anni fa. Abbiamo ancora del lavoro da fare, lanceremo nuovi strumenti”.
Il COO di Facebook ha poi tenuto ad evidenziare tutte le nuove iniziative in calendario per l’implementazione delle competenze digitali.
Peccato che fra queste non ve ne sia neanche una in programma per combattere l’hate speech online. Eppure ce ne sarebbe molto bisogno (ultimo esempio, i commenti carichi d’odio riversati sui social nei confronti di Carola Rackete, la capitana 31enne della Sea Watch, ndr).
Quasi in contemporanea, il segretario generale delle Nazioni Unite ha tenuto un discorso ad un evento organizzato dal presidente dell’Assemblea Generale, sulle sfide dell’insegnamento della tolleranza e del rispetto nell’era digitale. Guterres ha parlato di antisemitismo, di odio nei confronti dei migranti, di estremismo, di incitamento all’odio online e offline e dei processi di normalizzazione dell’odio attraverso i social media. “Dobbiamo trattare l’incitamento all’odio come trattiamo qualsiasi atto doloso: condannandolo e rifiutando di amplificarlo” ha precisato. Ricordiamo che lo stesso Guterres il 18 giugno ha lanciato il piano d’azione delle Nazioni Unite sui discorsi d’odio.
Uno studio della New York University, pubblicato due giorni fa, sul sito ArXiv (Kunal Relia et al. Race, Ethnicity and National Origin-based Discrimination in Social Media and Hate Crimes Across 100 U.S. Cities. arXiv:1902.00119 [cs.CY]), ha rivelato una preoccupante correlazione fra linguaggio d’odio e violenza fisica, persiste nei diversi contesti, dalle metropoli alle zone rurali. I risultati della ricerca mostrano come nelle zone dove si riscontrano più tweet con linguaggio offensivo e razzista, si verificano anche più reati violenti contro persone o gruppi “scelti” sulla base dell’appartenenza nazionale (o “etnica”, che dir si voglia). Nello studio sono stati analizzati provenienza geografica e linguaggio di 532 milioni di tweet pubblicati negli Usa tra il 2011 e il 2016 attraverso un’intelligenza artificiale programmata a riconoscere due tipi di ‘cinguettii’, quelli che direttamente manifestano opinioni o atti discriminatori e quelli che invece riportano o commentano atti o opinioni razziste. Il team ha confrontato la prevalenza dei tweet dei due tipi con i report sui reati violenti nelle città da cui venivano pubblicati.
Nel frattempo, i colossi dei social provano, almeno al di là della frontiera italiana, a lanciare nuove sperimentazioni e strumentazioni per combattere l’hate speech, oltre i piani d’azione e oltre le ricerche.
Twitter ha annunciato che indicherà con un’etichetta, una sorta di bollino rosso, i contenuti che violano le sue regole comportamentali. Ovvero quelli che risulteranno violenti, offensivi o portatori di fake-news. Il marchio colpirà i post di personaggi politici e istituzionali che dovessero infrangere le regole di comportamento previste, cosa che in passato è avvenuto più volte (leggi qui).
Nel mirino della nuova sanzione rientrano i tweet scritti da politici o da funzionari governativi, il cui account sia verificato, che hanno oltre 100 mila follower, poiché “questi leader hanno un’influenza eccessiva e talvolta dicono cose che potrebbero essere considerate controverse o invitare al dibattito e alla discussione”. La nuova funzionalità comparirà sulle home degli utenti che, in particolare, seguono un determinato politico o funzionario che pubblicherà un tweet contenente questo tipo di messaggi.
Ma il bollino potrebbe apparire anche in altre aree del sito come la banda di ricerca. L’altro elemento di cui tener conto è che non si tratta di una misura retroattiva: i vecchi tweet non saranno monitorati. Quelli nuovi, invece, verranno fortemente penalizzati e appariranno con meno frequenza nella timeline degli utenti.
Le nuove modalità del social network non saranno affidate a un algoritmo, spiega Twitter, l’obiettivo è quello di assicurare un equilibrio tra “la libertà di espressione” e la necessità di “ridurre al minimo la sofferenza che essi provocano”: di conseguenza sarà possibile vedere e leggere questi messaggi per l’importanza di chi li pubblica, ma prima di poterlo fare il lettore si troverà di fronte un avviso. Un “bollino” che forse sarà anche più efficace di un’eventuale, e da tanti richiesta, censura preventiva.
Facebook, invece, in Francia ha annunciato di aver cominciato a trasmettere informazioni identificative ai tribunali francesi sulle persone sospettate di usare l’incitamento all’odio attraverso i social network (in precedenza, Facebook lo faceva solo per persone sospettate di terrorismo e atti di violenza, ndr).
Passi in avanti notevoli, segnali forti, tanto sulle piattaforme online, quanto sulle possibili forme di repressione del fenomeno. Resta da vedere come e quando saranno sperimentate anche in Italia. E soprattutto che ricadute avranno, nell’immediato e per il futuro.