Era il 2 settembre del 2015, quando una foto per un attimo è riuscita a lasciare senza parole il mondo intero: il corpo riverso senza vita del piccolo Aylan Kurdi, il profugo siriano di soli 3 anni, sul bagnasciuga della spiaggia turca di Bodrum.
Successivamente, nel marzo 2016, l’Ue ha stretto un vergognoso accordo con la Turchia, che in cambio di oltre 6 miliardi di euro e la promessa di liberalizzare entro ottobre i visti per i cittadini turchi diretti nell’Unione, ha accettato di farsi carico dei quasi 3 milioni di profughi siriani nei suoi confini, bloccando (sostanzialmente) la rotta di fuga balcanica e dell’Egeo verso l’Europa.
Sono trascorsi 4 lunghi anni dalla stipula di quel famigerato accordo (noi ne avevamo parlato qui nel 2015 e poi nel 2016 qui). Oggi, si sta verificando, purtroppo, quello che molti in realtà già tempo addietro avevano preannunciato (ne avevamo parlato qui): il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sta ricattando l’Europa intera giocando con le vite dei profughi ammassati ai confini. Erdogan rivendica la sua strategia, dichiara di aver rifiutato un miliardo di euro in più dall’Unione Europea, offerto per convincerlo a chiudere di nuovo i confini turchi, e invita platealmente l’Europa a “farsi carico della propria parte del fardello“.
La nuova ondata di violenza in Siria, innanzitutto, tra le forze del regime appoggiate dai russi e quelle antigovernative appoggiate dai turchi, ha causato il nuovo esodo di migliaia di profughi dal Paese (qui a tale proposito un comunicato della Caritas). Ma intanto, via mare o via terra, il paese europeo più vicino in cui rifugiarsi è la Grecia (con le isole più vicine alla Turchia già sotto pressione da anni per le migliaia di persone trattenute in condizioni deplorevoli), che ora versa in stato di massima allerta di fronte al nuovo flusso di persone che arriva dalla Turchia.
La situazione è particolarmente difficile a Lesbo dove, nella quasi totale indifferenza (si veda a tale proposito il comunicato del Cospe), ieri, è morto un bambino di 4 anni, durante il tentativo di sbarco di un gruppo di migranti a Mitilini. La morte di questo bambino non ha indignato l’opinione pubblica internazionale così come avvenne con la morte di Aylan. Secondo le agenzie di stampa, il barcone si sarebbe ribaltato quando è stato avvicinato da un’unità della Guardia Costiera greca. Secondo quest’ultima, 46 persone sono state salvate, mentre il suo corpicino è stato restituito dal mare insieme a quello di un’altra persona.
La situazione di emergenza al confine tra Grecia e Turchia, dopo che Ankara ha deciso di non ostacolare più il flusso di migranti richiedenti asilo verso l’Europa, è inenarrabile. Le immagini di questo limbo infernale che hanno circolato in rete negli ultimi due giorni sono eloquenti e non lasciano spazio a nessuna giustificazione.
Quelle che poi mostrano la Guardia costiera greca picchiare i profughi in mare e respingerli a colpi d’arma da fuoco in aria, sono a dir poco inaccettabili. Si segnalano poi violenze, insulti e botte contro gli sbarchi: nel mirino giornalisti e fotoreporter, personale dell’Unhcr e polizia, tutti aggrediti da gruppi di abitanti di Lesbo. Decine di persone hanno anche impedito uno sbarco di migranti (tra cui alcuni bambini) da un gommone nella località di Thermi, e dato alle fiamme anche un centro d’accoglienza in disuso. Le immagini del pestaggio dei giornalisti su una banchina del porto sono diventate altrettanto virali sui social network, al pari di quelle sulla Guardia Costiera.
Il rimbalzo di accuse fra il governo greco e quello turco ha dell’assurdo: i turchi accusano i greci di aver ucciso un migrante siriano, mentre i greci accusano i turchi di minacciare volutamente la sicurezza nazionale di Atene e condannano a quattro anni di carcere chiunque entri illegalmente nel Paese (sarebbero state già arrestate 183 persone e alcune di queste già condannate a quattro anni di carcere e a una multa di 10 mila euro).
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) afferma che ci sono almeno 13mila migranti al confine tra i due Paesi. Secondo, invece, quanto afferma su Twitter il ministero degli interni turco, sarebbero più di 80mila i migranti che avrebbero varcato il confine attraverso la provincia di Edirne e che sarebbero così arrivati in Europa. Nella provincia di Edirne, ci sono valichi di frontiera verso la Grecia e la Bulgaria, e finora i due paesi non hanno segnalato l’arrivo di un così alto numero di richiedenti asilo. Anzi, secondo il ministero delle migrazioni greco, la polizia greca avrebbe finora bloccato al confine “solo” 9.600 migranti. Ma dove saranno ora tutte queste persone?
Di fatto, migranti siriani, afghani e iracheni, sono giunti da Istanbul e stanno procedendo in fila indiana nei campi verso i valichi di frontiera. Tra di loro anche tantissime donne e bambini. Questi nuovi arrivi si vanno ad aggiungere ai 13.000 migranti contati da OIM, che già si sono ammassati al confine greco-turco, alcuni dei quali si sono scontrati con la polizia di frontiera che ha lanciato gas lacrimogeni e usato violenza.
Intanto, l’Europa delle istituzioni si risveglia dal torpore e, anziché agire, propone e convoca riunioni su riunioni anche in tempi non celeri. I ministri degli Esteri dell’Ue annunciano, infatti, di voler tenere una riunione “di emergenza” la prossima settimana per discutere l’escalation del conflitto tra Siria e la Turchia e la conseguente (ennesima e irrisolta) crisi dei profughi. I combattimenti intorno alla roccaforte ribelle siriana di Idlib “rappresentano una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionali” con gravi conseguenze umanitarie per la regione e oltre, si legge in una nota dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Joseph Borrel. L’Ue “deve raddoppiare gli sforzi per affrontare questa terribile crisi umana con tutti i mezzi a sua disposizione”, aggiunge.
Nel frattempo, Frontex avrebbe alzato il livello di “allerta” su tutte le frontiere Ue con la Turchia (ha fatto sapere in un comunicato) e disposto l’invio di altre attrezzature tecniche e uomini verso la Grecia, mentre il commissario europeo per l’immigrazione, Margaritis Schinas, ha chiesto alla presidenza di turno croata dell’Ue di convocare una riunione “urgente” dei ministri dell’Interno dei Ventisette per discutere della situazione.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è in queste ore in Grecia per valutare da vicino la situazione. “La nostra priorità è dare a Bulgaria e Grecia tutto il supporto necessario per gestire la situazione sul terreno. La sfida che la Grecia ha di fronte è una sfida europea”, ha dichiarato.
Forte, oggi come 5 anni fa, si leva la voce delle associazioni e delle Ong che richiamano l’attenzione su questa ennesima crisi di enormi proporzioni che rischia di trasformarsi in una ennesima tragedia (si vedano qui il comunicato di Amnesty International, qui quello di MSF, e quello dell’Unhcr).
Le violazioni che si stanno perpetrando in queste ore sono molteplici e partono dalla negazione di un diritto fondamentale, il diritto d’asilo: i respingimenti in atto non possono che portare ad un disastro umanitario.
In tutto questo, l’Unione Europea si rivela per quella che è: ancora sottomessa alle logiche di contenimento dei confini e di esternalizzazione delle frontiere, invece di cercare un accordo stabile ed condiviso sulla relocation (sul fallimento di tale procedura si veda quest’articolo e questo), timorosa e incapace di accogliere chi fugge da condizioni disumane, sotto la pesante ombra dell’estrema destra, completamente cieca dinnanzi ad una crisi che richiede risposte urgenti che non sa dare.
Domani, intanto, un presidio a Roma (qui tutte le info).